Da Pont d’Ael a Industria sulle orme degli Avilli, ricchi imprenditori devoti a Iside.

Probabilmente vi starete già chiedendo in quale “Augusta” vi porterò oggi… giusto? Beh, per oggi niente Auguste! Oggi il nostro viaggio comincia da qui, dalla Valle d’Aosta, per poi proseguire in Piemonte alla scoperta dell’antica città di #Industria, non lontano da Chivasso, nel cosiddetto “oltrePo chivassese”.

Partiremo dal noto ponte-acquedotto romano di #PontdAel, nell’omonimo villaggio lungo la strada che sale a #Cogne, per ritrovare un legame. Sì, per ritrovare le tracce di un’importante famiglia, quella degli AVILLI.

Credo la stragrande maggioranza dei miei ormai fedeli amici valdostani conosca Pont d’Ael alla perfezione. Da quell’estate del 2014 in cui si celebrava il Bimillenario della morte dell’imperatore Ottaviano Augusto in cui avevamo portato Pont d’Ael alla ribalta con frequentatissime e seguitissime visite guidate, oggi questo incredibile, meraviglioso, capolavoro dell’ingegneria idraulica romana è una vera “star” nella “top ten” delle destinazioni culturali regionali.

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Il ponte.acquedotto romano di Pont d’Ael (Valle d’Aosta). Foto: E. Romanzi

Un’unica arcata, poderosa e tenace, ampia quasi 15 metri, scavalca la forra ad un’altezza di 56 metri dal corso d’acqua sottostante. Tutt’intorno irte e strapiombanti pareti rocciose ricoperte di edere e boschi, latifoglie e conifere, quasi a perdita d’orizzonte. E’ il Pont d’Ael. Il Pons Avilli,qui realizzato da un intraprendente e ricco padovano attivo nel settore dell’edilizia ormai più di 2000 anni fa, in piena epoca augustea: CAIUS AVILLIUS CAIMUS.

Un grandiosa opera idraulica. Un ardito ponte-acquedotto suddiviso su due livelli: un percorso scoperto superiore, oggi percorribile a piedi, che in origine costituiva il canale idrico dove passava l’acqua (lo specus); un altro sottostante, in galleria, utile al transito di uomini e animali. Un’infrastruttura privata, come recita a lettere cubitali l’epigrafe ancora in posto al centro della facciata che guarda verso valle, probabilmente voluta per incanalare l’acqua verso le cave di marmo di Aymavilles. Il tracciato completo, in parte ancora esistente, in parte obbligatoriamente ricostruito a tavolino, vede un’opera di presa situata a 2,5 km più a monte rispetto al ponte, lunghi tratti, ancora percorribili, ritagliati nel banco roccioso e sapientemente adattati al profilo morfologico della montagna e, il punto sicuramente più spettacolare, Pont d’Ael, dove l’acqua cambia versante superando il turbolento torrente Grand Eyvia.

Un percorso di visita ad anello realmente emozionante. Si passa in quello che gli archeologi chiamano “specus“, cioé l’antico condotto idrico, risalendo a ritroso rispetto all’originario senso di scorrimento dell’acqua. Giunti in sinistra orografica si scendono alcuni scalini per raggiungere uno dei due ingressi originali del camminamento coperto pedonale. Una vista che mozza il fiato; un cambio di prospettiva che fa sembrare questo monumento ancora più imponente, così aggrappato sulle rocce, umide e lucide per la risalita del vapore acqueo. Un contesto naturalistico speciale, popolato da una varietà floristica notevole (ben 11 specie di rare orchidee!) e, per questo, “abitato” da oltre 96 specie diverse di farfalle. Non a caso, questa, oltre ad essere un’area archeologica, è anche una Riserva naturale protetta!

Una volta entrati…aspettate che gli occhi si abituino alla penombra e poi…Poi vi renderete conto che sotto i vostri piedi c’è il vetro, illuminato dal basso, e vedrete un vuoto profondo ben 3 metri. Quel vetro vuole richiamare l’antica presenza del tavolato ligneo dove gli operai e il dominus Avillius camminavano, ma al di sotto oggi si può apprezzare la struttura stessa del ponte-acquedotto. Un’infilata impressionante di spazi cavi e tramezzi in muratura: una struttura, quindi, organizzata ” a camerette” in modo da essere leggera ed elastica, senza però rinunciare alla necessaria stabilità!

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Pont d’Ael. Il camminamento coperto col glassfloor (Foto: E. Romanzi)

Si percorrono in trasparenza i 50 metri di lunghezza del ponte e si ritorna in destra orografica; si supera l’altro accesso d’origine, rimasto per lunghi secoli chiuso e inutilizzato, e si esce..di nuovo sul vuoto! Sì, perché là dove un tempo i Romani passavano su un ampio sentiero ritagliato nel banco roccioso e poi franato nel torrente, oggi c’è una panoramica passerella in acciaio che consente di ripercorrere il loro stesso tragitto! Una cosa che da secoli non si poteva più fare!

Ma dedichiamoci al nostro Avillio (ah, forse vi sarete accorti della significativa assonanza tra Avillius Caimus e il nome della località di fondovalle: AymAVILLES… no?!). Bene, cerchiamo di conoscerlo più da vicino e, con lui, partiamo alla volta di Industria, importante area archeologica nelle vicinanze dell’attuale paesino di Monteu da Po.

Sulla facciata nord del Pont d’Ael campeggia un’iscrizione (CIL, V, 6899): «IMP CÆSARE AUGUSTO XIII COS DESIG C AVILLIUS C F CAIMUS PATAVINUS PRIVATUM», che consente di datare con esattezza il monumento all’anno 3 a.C. e di attribuirlo all’azione imprenditoriale del padovano Caius Avillius Caimus, esponente di una ricchissima famiglia di origine veneta legata al settore dell’industria edile e al trattamento delle materie prime,
soprattutto dei materiali lapidei e dei metalli. Proprietari di numerose nonché decisamente attive figlinæ (fabbriche di laterizi) nella loro terra natìa, gli Avilli sono attestati come imprenditori edili anche nel Piemonte nord-occidentale (valli di Lanzo e dell’Orco), ma soprattutto nell’antica città di Industria, dove inoltre risultano essere membri del Collegio dei Pastophori, potenti ed influenti sacerdoti del culto di Iside insieme ad appartenenti alla gens Lollia, altra famiglia di spicco della città sebbene anch’essi di origine veneta, veronese per l’esattezza.

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L’epigrafe (restaurata) sul lato nord del Pont d’Ael. Foto: E. Romanzi

Sin dal II secolo a.C., alcuni Avilli risultano operativi a Delo, isola egea frequentatissima dai massimi mercatores del tempo in quanto snodo strategico dei commerci e, soprattutto, in quanto attivissimo mercato di schiavi. In particolare ricordiamo come un certo Δέκμος Αυίλιος Μαάρκο[ς] Ρωμαĩος (Decimus Avillius Marcus, Romanus – ossia di origine romana), mercante di schiavi dedito al culto isiaco, è onorato all’interno di un presunto decreto di Melanofori, ossia un gruppo di penitenti devoti ad Iside che, completamente abbigliati di nero, celebravano le esequie funerarie in onore di Osiride.

Non dobbiamo meravigliarci di questo genere di culto egizio alle nostre latitudini. Dopo la conquista dell’Egitto da parte di Roma e la sua trasformazione in “provincia”, i culti locali iniziarono a dilagare nella penisola italica e a risalirla.

Iside, in particolare, la “dea dai molteplici nomi”, madre di Horus, il Sole, era venerata come protettrice dei parti, come guaritrice, come dea celeste, ma anche come una sorta di Demetra, divinità feconda della natura e delle messi. Una specie di “Madre Natura” universale; ecco, sì, una vera “dea madre” alla quale si poteva chiedere benessere e salute. Il culto inizialmente appannaggio delle classi aristocratiche, ben presto dilagò anche negli strati più umili della società proprio in virtù di questo potente messaggio di speranza.

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Iside. Da http://www.archeoroma.beniculturali.it

Iniziarono ad essere costruiti santuari a lei dedicati un pò dappertutto, dalla Campania (grazie ai porti di Neapolis e Puteoli) fino a Roma, che in poco tempo divenne un vero centro di riferimento del culto isiaco. Nel nord Italia ricordiamo qui i più importanti di Trieste, Aquileia, Verona e, appunto, nel nord-ovest, quello di Industria.

Si tratta di una sorta di città-emporio sorta a breve distanza dal punto in cui la Dora Baltea confluisce nel Po. Un porto fluviale, dunque, dove avveniva la selezione e lo smistamento delle materie prime provenienti dalla vallate alpine circostanti: pietre e metalli su tutti. La città pianificata, urbanisticamente sviluppatasi solo in età augustea (fine I secolo a.C. – inizi I secolo d.C.) con un impianto regolarmente scandito, era però stata già probabilmente fondata, almeno sul piano giuridico, alla fine del II secolo a.C. nel corso delle campagne militari romane nel Monferrato, nei pressi dell’insediamento celto-ligure di Bodincomagus = “mercato sul Po” (Bodinkos per i Liguri).

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Non è un caso che proprio qui importanti e ricchissime famiglie imprenditoriali (giunte dal nord-est sulla scia della progressiva romanizzazione di un nord-ovest ancora tutto da esplorare e soprattutto da sfruttare) fecero convergere i loro interessi politico-commerciali e le loro ambizioni elettorali unendo le indubbie capacità commerciali con rilevanti cariche sacerdotali; da qui a “sponsorizzare” la costruzione di un magnifico santuario a Iside e Serapide il passo fu breve.

È a partire dall’età augustea che Industria si avvia a diventare un importante centro mercantile e cultuale (con la costruzione del tempio e la sua prima fase). Mancano ad oggi studi e ricerche che identifichino nella città tracce evidenti di edifici pubblici quali mura, porte, edifici da spettacolo o terme. Attorno all’area del santuario, tuttavia, sono state individuate tre insulae abitative e, a Nord Est, l’area del foro cittadino, che però non è stato ancora oggetto di scavo archeologico.

L’elemento architettonico connotante l’area sacra e che più di altri salta immediatamente all’occhio è il grande emiciclo originariamente circondato da porticati, che culmina da un lato in un’esedra monumentale fiancheggiata da due tempietti, e dall’altro fronteggia l’alto podio di un tempio dotato di scalinata monumentale.

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Da non dimenticare gli straordinari reperti bronzei ritrovati ad Industria, veri capolavori della lavorazione dei metalli, tra cui la famosa “Danzatrice”, il “toro sacro di Iside”, i numerosi sistri, lo splendido balteo con scena di battaglia (assai simile peraltro a quello esposto al MAR di Aosta) e la testa di sacerdote isiaco, tutti visibili al Museo Archeologico di Torino.

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La danzatrice

In questa vasta terra di campi e d’acqua, l’area archeologica risalta come un gioiello esotico e particolare; peccato, però, non sia né semplice da trovare (scarsissime indicazioni stradali) né adeguatamente accessoriata in termini di pannellistica e supporti alla visita. E’ pur vero che, ogni tanto, vengono organizzate visite guidate di grande soddisfazione, ma va riconosciuto che il visitatore autonomo, se non supportato da opportune informazioni e se non rientrante tra gli “addetti ai lavori”, rischia di capire ben poco…

Segnalo inoltre, poco a nord dell’area santuariale antica, i resti di una chiesetta in cotto; oggi può essere scambiato come una normale cappella campestre (sebbene dalla forma originale), ma in passato era una pieve assai importante: San Giovanni Battista “de Dustria” (o “de Lustria”).

 

Non è difficile ritrovare in questa denominazione una chiara testimonianza dell’antico nome del luogo, sebbene in forma abbreviata. Parrocchia in epoca romanica, dopo la visita pastorale del 1584 perse tale funzione a favore della “nuova” chiesa intitolata a San Grato. Una targa apposta dal Ministero dei Beni Culturali ricorda la passata importanza di questo luogo culto posto “lungo un’antica via di pellegrinaggio, dal Po verso i santuari pagani” e già esistente, parrebbe, sin dall’epoca del primo vescovo del Piemonte, Sant’Eusebio da Vercelli (IV secolo d.C.). E chissà se l’antica sacralità della dea Iside non arrivò a trasformarsi, opportunamente “cristianizzata”, nella misteriosa ma veneratissima “Madonna Nera” del non lontano (e sempre eusebiano) santuario piemontese di Oropa… e non solo! Ma qui si aprirebbe un altro capitolo tutto da approfondire…

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Il paese attuale di Monteu da Po (TO)

Col Medioevo, però, gli splendori di Industria ormai erano tramontati. Il centro abitato si era trasferito su un colle (forse in seguito alle tremende esondazioni del Po, in qualche modo se vogliamo favorite dal progressivo diminuire di manutenzione dopo l’età tardoantica). Nacque così Monteu da Po (e il nome ora si spiega). La piccola pieve di San Giovanni perse di importanza e vide drasticamente ridursi il suo potere accentratore, il ruolo di riferimento per la fede degli abitanti della zona. che, di fatto, si erano spostati. Venne soppiantata e definitivamente abbandonata. Ma oggi, coi suoi resti, vuole ancora raccontarci qualcosa. Vuole ricordarci di una fede antica, pagana, isiaca, ancora prima che cristiana. Vuole ricordarci di un potente santuario e di un’illustre città ora scomparsa sotto i limi e le coltivazioni.

Industria, un ricco ed operoso emporio sul Po protetto da Iside, nato dall’iniziativa di sagaci e lungimiranti imprenditori. Tra questi, gli Avilli: venuti da est, seppero individuare e mettere a frutto le risorse alpine.

Stella

9 pensieri riguardo “Da Pont d’Ael a Industria sulle orme degli Avilli, ricchi imprenditori devoti a Iside.

  1. Vi faccio i miei complimenti per le notizie sulla Gens Avilia, però vorrei farvi notare quella che a mio parere sembra una contraddizione. Avete indicato nella zona di Padova il luogo di origine della Gens Avilia, poi avete messo in evidenza il fatto che già nel secondo secolo a.C. un esponente della famiglia, Romano, aveva un ruolo importante nelle province orientali di Roma. Ciò esclude, per ovvi motivi, la provenienza da voi citata, mentre, sempre secondo il mio modesto parere, la famiglia era originaria di una zona più vicina a Roma. Anche il fatto che erano degli abili industriali del laterizio, è un ulteriore indizio per pensare che erano di origine falisca, popolo estremamente abile nella lavorazione delle terracotte e di conseguenza dei laterizi. Saluti, Enrico Grasselli

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    1. Gent.mo Enrico, “romano” non significa letteralmente “di Roma” ma “civis romanus”, cittadino romano, ossia appartenente all’impero di Roma. Gli Avilli nascono da un connubio tra un elemento etrusco (zona dell’emporio di Spina) ed un elemento venetico. Grazie per il tuo interesse.

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  2. Approfittando della sua gentilezza, mi permetto di dissentire ancora: la cittadinanza romana, inizialmente privilegio degli abitanti di Roma, venne estesa nell’ 89 a,c, (Lex Plautia Papiia) a tutti gli abitanti a sud del Po e solo 40 anni dopo agli abitanti della Gallia Cisalpina. Mi sembra quindi poco probabile che la Gens Avilia, Romana sin dal II sec. a.C. non sia di origini del centro Italia. Le vorrei far notare inoltre, che è documentata la presenza di questa famiglia a Piacenza (Tabula alimentaria di Velleia), cosi come nel centro Italia (Avigliano Umbro, iscrizioni nei pressi di Todi) e anche nel sud Italia (Avigliano, in provincia di Potenza, Va segnalato inoltre che dai registri storici di Avigliano in Umbria, risulta, fin dal Medioevo, una massiccia presenza di famiglie registrate come “Placentis” (Piacenza in origine si chiamava Placentia). Le stesse che hanno poi preso il cognome Piacenti, cognome che attualmente risulta il più diffuso in zona. Cordialità, Enrico Grasselli

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    1. Gent.mo Enrico, la ringrazio per queste precisazioni che non mi sono nuove.
      Tuttavia io mi riferisco al ramo della gens Avillia documentata a Patavium di cui appunto il committente del Pont d’Ael è un importante esponente. Il nomen di tale ramo presenta un’indubbia matrice etrusca su cui è andato innestandosi un elemento venetico,

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    2. Tenga inoltre conto che questo è un blog divulgativo il cui scopo è quello di far conoscere i tesori archeologici valdostani (soprattutto ma non solo) e di conseguenza non è opportuno dilungarsi in approfondimenti specialistici da addetti ai lavori che invece troverà nelle mie pubblicazioni scientifiche a riguardo.

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    3. In ulyimo chiedo scusa ma non mi è chiaro il collegamento che lei stabilisce tra la presenza degli Avilli a Piacenza, in Umbria e nel potentino (cosa che comunque non mi meraviglia essendo di base una gens etrusca e se pensiamo alla diffusione nonché alla mobilità di questa popolazione ciò è più che verosimile), e il cognome Piacenti.

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      1. Le ho elencato le zone in cui è provata la presenza di esponenti della famiglia Avili perché, secondo una mia modesta ipotesi, li vi erano le proprietà di un unico nucleo familiare che, probabilmente, aveva la sede patriarcale a Roma. Ciò è anche supportato dal fatto che, dai ritrovamenti archeologici, risulta che questa famiglia faceva parte della ristretta corte dell’imperatore Augusto. Anche per quanto riguarda il cognome Piacenti, quando l’intera penisola venne alluvionata dai Longobardi, rimasero sotto il controllo romano-bizantino solo alcune zone, tra cui quelle che costituivano il “corridoio bizantino”: una striscia di territorio che collegava Ravenna a Roma. Questo sentiero, che ricalcava in parte il tracciato dell’antica via amerina, stretto tra il ducato longobardo di Spoleto e quello della Tuscia, rimase sempre in mano agli imperiali.Todi ed Amelia, ma anche Avigliano dell’Umbria, situato tra le due città, furono roccaforti fondamentali per la difesa di questa importante via di collegamento tra il papato e l’esarcato bizantino. La mia ipotesi è che, quando i membri della famiglia degli Avili che avevano proprietà a Piacenza, atterriti, si trovarono alla mercè dei predatori barbari, cercarono rifugio nelle proprietà della loro famiglia ancora sotto il controllo dei romano-bizantini ed Avigliano dell’Umbria gli apparì come il loro rifugio più sicuro, dove potevano contare anche sulle rendite delle loro vaste proprietà. Questo giustificherebbe la presenza in questi luoghi di molti nuclei familiari con il “cognome” Placentis, fin dai tempi più remoti, che potrebbero rappresentare la continuità della gens Avilia. Nello scusarmi per le mie divagazioni che poco o nulla hanno attinenza con il tema della sua pagina, La ringrazio per la sua paziente attenzione e Le porgo i miei saluti. Enrico Grasselli

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