Arco-Sauro!Aosta: il nuovo anno e l’Arco senza tempo.

No, non sono impazzita! Da un mesetto, ormai, nell’aiuola dell’Arco di Augusto, ad Aosta, troneggia un placido seppur gigantesco diplodoco (questo il nome scientifico) che, simpaticamente, ho ribattezzato “ArcoSauro“.

E’ stato messo lì, in maniera silenziosa e misteriosa di notte, quando nessuno poteva vederlo, per regalare un risveglio di sorpresa, stupore e “cardiopalma”: una pratica senz’altro efficace di astuto”street marketing” per informare la città che, di lì a breve, sarebbe stata inaugurata la mostra – evento “#Dinosauri in Carne e Ossa” presso l’Area Megalitica cittadina.

Aosta. Quando dici "ARCO-SAURO"
Aosta. Quando dici “ARCO-SAURO”

Ma su questa mostra strepitosa tornerò in un post successivo perché si merita un bell’articolo tutto suo!

Ora voglio soffermarmi sull’Arco. Un monumento grandioso cui forse noi Valdostani eravamo fin troppo abituati e che il posizionamento del diplodoco ha scosso un pò! Chi a favore per l’effetto contrasto di sicuro impatto; chi contrario perché convinto sia inadatto… ognuno la pensi come vuole ma a me non dispiace affatto!

Giganti della Storia (e della Preistoria) a confronto in una regione che, sebbene “piccola” sulla carta, più MEGALITICA di così non si potrebbe! Cosa sono in fondo queste grandi montagne che ci circondano se non l’esempio sommo di MEGALITI naturali?!

UN ARCO DI BUON AUSPICIO!

Gennaio. Primo mese dell’anno. Mese del passaggio da una realtà, ormai vecchia e consunta, ad un’altra tutta da vivere. Giano, dio dal doppio volto che sa guardare il vecchio e contemporaneamente scrutare il nuovo. E infine l’arco, simbolo del transito, monumento emblematico di ogni passaggio importante degno di essere ricordato e trasmesso ai posteri.

Siamo ad #Aosta, città figlia dell’auctoritas (oggi mi diverto con le etimologie!!) del princeps Ottaviano Augusto (di cui in quest’ultimo mese abbiamo già discusso a lungo). Una città ideale. Una città urbanisticamente perfetta. Una città cui si accedeva da quattro solenni porte collocate ai quattro punti cardinali e anticipata da un monumento assolutamente imponente e “parlante”: l’Arco.

L’ARCO E I SUOI PERCHE’

Intanto, perché fu costruito proprio sul lato orientale e non altrove? Perché da questa direzione proveniva la #ViadelleGallie dalla penisola italica e, idealmente, da Roma. L’accesso principale in città avveniva da qui, da est; e non è un caso che sempre sul lato est delle mura sorga la spettacolare Porta Praetoria, ossia la principale delle quattro porte urbiche della colonia!

La storia degli archi nasce con i successi militari. All’epoca repubblicana di Roma gli archi venivano indicati, anche epigraficamente, come fornix (letteralmente “struttura voltata”). Alla fine della Repubblica gli si affianca il nome ianus per poi progressivamente lasciare il posto ad arcus. E’ la lingua che cambia al mutare della società, degli usi e delle idee. Quello augustano tornerà ad essere indicato come fornix nel XII secolo!

Diciamo che, rispetto a ianus, arcus porta con sé una concezione urbanistica di rappresentanza prima sconosciuta. Dicevamo, infatti, che la tipologia degli archi nasce in ambito trionfale militare: i comandanti vittoriosi insigniti dell’onore del trionfo, si guadagnavano il diritto di sfilare sotto simili passaggi “d’onore” fortemente influenzati dagli esemplari analoghi di ambiente ellenistico (l’Asia Minore attuale, per intenderci). Tuttavia poco resta e poco si sa con certezza degli archi fino a prima di Augusto. Con lui questi monumenti entrano a pieno titolo nei “corredi” architettonico-urbanistici delle città, sia come accessori delle mura cittadine, sia come elementi autonomi, tanto all’esterno del centro cittadino quanto, come spesso accade, in area forense.

Ma torniamo ad Aosta. Arrivando dunque da Corso Ivrea, superato il bel ponte in pietra romano sull’antico alveo del Buthier, ci troviamo di fronte la mole massiccia di questo grandioso arco onorario dedicato a colui che sconfisse i Salassi e fondò la colonia di Augusta Praetoria Salassorum: Augusto, nipote adottivo di Giulio Cesare e “primo imperatore”. Un passaggio importante, quello (tanto ambito e combattuto) verso le Alpi e verso le Gallie!

UNA MASSICCIA ELEGANZA

Alto 17 metri (sebbene oggi privo dell’attico, cioè la parte sommitale dove in origine figurava l’iscrizione), presenta al centro un unico fornice a tutto sesto ampio 28 piedi romani (poco più di 8 metri). Le sue forme massicce e sobrie si inseriscono in un’epoca in cui le tradizioni stilistiche repubblicane stavano progressivamente lasciando il posto al classicismo di impronta augustea. Costruito interamente in grossi blocchi di puddinga locale, a guardarlo con più attenzione si possono notare dei dettagli capaci di conferirgli comunque eleganza, raffinatezza e, per certi versi, una sottile leggiadria.

L’Arco troneggia in mezzo al traffico cittadino in tutta la sua severa imponenza, ma ora, grazie alla pedonalizzazione dell’area, è più facile (anzi, è d’obbligo!) avvicinarvisi per apprezzarne le”chicche” meno evidenti prima, ahimè, sconosciute ai più.

Una struttura massiccia, dicevamo, Certo. Ma già si notano le semicolonne di ordine corinzio che, con le loro ricce foglie di acanto, i viticci elicoidali, i petali e le volute sporgenti, sanno ingentilire ( e vivacizzare) la severità dell’insieme. Le stesse modanature che profilano la cornice dell’arcata presentano decorazioni “a perline” minute e graziose. All’interno del fornice, su entrambi i lati, piccoli pilastri sporgenti con capitelli sempre di tipo corinzio (sebbene più sobri) delimitano dei pannelli al cui interno potremmo immaginarci la presenza di scene a rilievo o ulteriori iscrizioni su tavole di marmo o di bronzo.

Al livello superiore poggia sulle semicolonne un essenziale fregio di ordine dorico scandito in triglifi con sottostante decorazione a gocce  e metope lisce. Quasi fosse un antico tempio classico, qui l’arco si veste di un’arcana sacralità.

E già queste due prime considerazioni ci portano a riflettere sulla miscellanea di stili presenti su questo insigne monumento. Respiri di Grecia, di quella grande cultura ellenica che così profondamente aveva imbevuto l’intero mare nostrum e che si riproponeva di volta in volta rivisitata e metabolizzata a seconda dei differenti filtri socio-culturali.

CLASSICO, ELLENISTICO, ROMANO

Sempre all’esterno i due prospetti presentano, ai lati del fornice, due nicchie oggi vuote, ma che in origine, dovevano ospitare statue. Si pensa a possibili trofei (mucchi di armi nemiche raffigurati o in pietra o in bronzo), oppure a statue di Augusto e Cesare, oppure ancora a gruppi statuari raffiguranti i Salassi sconfitti. Per quest’ultima ipotesi si pensi, ad esempio, ai gruppi ad altorilievo di Galli sconfitti presenti sull’arco di Saint-Rhémy-de-Provence, nel sud della Francia.

Ma continuiamo il nostro giro passeggiando intorno all’arco col naso all’insù. Osserviamo con attenzione la superficie aggettante del cornicione. Seppure in gran parte restaurato, sussistono ancora dei brani di grande poesia ed interesse. File parallele di piccole gocce circolari si alternano a losanghe allungate con rosetta centrale. In corrispondenza, poi, dell’angolo di nord-ovest, si può notare una ricercata decorazione a palmetta (o anthemion). Un chiaro tributo a quell’arte ellenistica che riuscì a valicare gli stretti confini della pòlis per diventare l’arte di una più vasta comunità socio-culturale, di una vera koiné capace di riconoscersi in un globale linguaggio mediterraneo ed orientale. Augusto voleva rifarsi a quel linguaggio e farlo proprio; con lui Roma sarebbe diventava il nuovo centro di una nuova koiné. L’architettura romana avrebbe dunque ripreso il meglio di quanto l’aveva preceduta, l’avrebbe fuso e ne avrebbe ricavato qualcosa di innovativo ma riconoscibile e in grado di parlare la lingua del potere.

Ci manca l’attico dicevamo. Ossia tutta la parte superiore che avrebbe ancor più enfatizzato la monumentalità complessiva e sulla quale trovava posto l’iscrizione dedicatoria ad Augusto. Alcune grandi lettere in bronzo dorato, alte circa 28 cm, furono ritrovate in occasione di alcuni sondaggi archeologici effettuati ai piedi dell’arco ad inizio Novecento e sono tuttora conservate al #MAR di Aosta. E non dimentichiamo che, molto probabilmente, anche sopra l’attico dovevano esserci statue; o una quadriga o delle Vittorie alate.

UN ARCO EMBLEMATICO

Ma la storia dell’arco è ancora molto lunga. Dalle scorribande barbariche in poi, l’arco sopravvisse a secoli di rovina e distruzioni. Le sue decorazioni, le sue statue, sparirono, razziate, fuse, depredate. Nel Medioevo divenne una sorta di residenza fortificata, ospitò una postazione di balestrieri per poi diventare simbolo della devozione popolare dove recarsi a pregare il Santo Volto per scongiurare le terribili e (ahimé) frequenti esondazioni dell’indomabile torrente Buthier. Il suo fornice venne quasi “esorcizzato”, o meglio, cristianizzato con l’inserimento a più riprese di immagini sacre e crocifissi lignei. L’attuale è una copia di quello lì posizionato nel 1449 dopo una delle tante alluvioni.

All’inizio del XVI secolo l’illuminato priore Giorgio di Challant decise di salvarlo dalla rovina e di farvi costruire addirittura una cappella; ma tale progetto non vide mai la luce. Pochi anni dopo Giorgio di Challant morì.

Con il Seicento le pessime condizioni in cui l’arco versava spinsero il Conseil des Commis (l’organo di governo”ristretto” nato nel 1536) a riflettere circa l’eventualità di costruire un tetto sopra le nude creste di muro dell’arco, vittime delle intemperie, della vegetazione e delle infiltrazioni. Ma si dovette attendere il 1716 per provi mano concretamente. In pochi mesi l’arco era stato restaurato e consolidato, sebbene in una maniera che oggi condanneremmo senz’altro!

Nel 1804 si pensò persino di erigere al di sopra dell’arco un trofeo dedicato al passaggio di Napoleone, cosa che fortunatamente non venne fatta!

Col tempo l’arco si trovò nuovamente in una deplorevole situazione di abbandono e trascuratezza. Negli anni ai suoi piedi erano andate accumulandosi macerie su macerie. Fu lo scrittore francese Stendhal (al secolo Marie-Henry Beyle) a lasciarne invece parole di vivo entusiasmo:

J’étais si heureux en contemplant ces beaux paysages et l’arc de triomphe d’Aoste, que je n’avais qu’un vœu à former, c’était que cette vie durât toujours“.

Nonostante i reboanti e lusinghieri versi del poeta Giosué Carducci nella sua ode “Piemonte” del 1890:

La vecchia Aosta di cesaree mura ammantellata, che nel varco alpino eleva sopra i barbari manieri l’arco di Augusto“.

fu solo nel 1912 che, sotto la direzione di Ernesto Schiaparelli, allora sovraintendente alle Antichità di Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria, nonché esimio egittologo, l’arco fu finalmente sottoposto ad un intervento di pulitura, consolidamento e rifacimento del tetto i cui risultati sono apprezzabili tuttora. Al cantiere, durato appena 2 anni, giunse in visita persino la regina Margherita nel 1913.

L’arco di Augusto. Il simbolo di Aosta, città dalla storia bimillenaria, ma non solo. Potremmo dire il simbolo di una regione, da sempre terra di transiti e passaggi, strategica cerniera alpina tra Nord Europa e Mediterraneo. Un volto che guarda alle terre d’Oltralpe ed un altro girato al mondo padano e italico. L’arco, Giano e le Alpi.

Ma non solo. Col dinosauro acquisisce un significato ulteriore: ora il tempo non esiste più.
La Storia non ha categorie: all’ombra del grande Arco romano un’unica fluida dimensione avvolge megalosauri profili preistorici e monumentali geometrie di un potente impero, riflessi sul volto di una città che voracemente si nutre di se stessa…

Stella

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Veduta dalla città (foto di S. Bertarione)
L'Arco di Augusto visto da ovest
L’arco visto da ovest (foto di E. Romanzi)
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Ricostruzione dell’arco di Francesco Corni
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Particolari della decorazione fronte ovest (S. Bertarione)
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Particolare dell’intradosso e dei pannelli interni del piedritto nord (foto S. Bertarione)
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Particolare delle semicolonne corinzie lato ovest (foto S. Bertarione)
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Particolari della decorazione nell’angolo NW (foto S. Bertarione)

 

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