Aosta e la magia del solstizio d’inverno

Di pietre e di stelle. Oggi di questo voglio parlarvi. Delle stelle e delle pietre che hanno consentito di risalire alla data di fondazione di Aosta, Augusta Praetoria Salassorum.

Una città disegnata dal solstizio d’inverno!

Potrei dire che “in origine fu la pietra” che ci condusse “a riveder le stelle”. E uso non a caso il verbo “rivedere” col significato di guardare di nuovo (e meglio) la volta celeste. Un pò come avveniva in antico, quando invece l’osservazione delle stelle era usuale, diffusa, e fondamentale per determinare i tempi di semina e di raccolta; ma anche i tempi delle feste, che poi quasi sempre derivavano da celebrazioni di momenti agricoli importanti. Natura, agricoltura, usanze… tutto seguiva il calendario celeste del sorgere e del tramontare di determinate stelle o costellazioni. E già solo questa considerazione ci porta a riflettere sull’importante e stretto legame che univa le stelle e il potere.

Oggi ci siamo persi tutta questa bellezza. Ma forse non del tutto. E la fortuna ha voluto che riuscissi a ritrovare il cielo… partendo dal sottosuolo!

DIARIO DI SCAVO IN PILLOLE

Non voglio qui annoiarvi con lunghi, tecnici e dettagliati resoconti di scavo per i quali vi rimando a precise pubblicazioni, ma vi do un tempo: febbraio 2012. Vi do un luogo: Torre dei Balivi, Aosta. Vi do anche un motivo: indagini archeologiche (condotte dall’Ufficio Beni Archeologici della Soprintendenza per i Beni e le Attività culturali della Valle d’Aosta) preliminari alla posa di una cabina elettrica interrata.

Ricordi. Nel 2012 col Prof. Elio Antonello, presidente della SIA (Società Italiana di Archeoastronomia) in visita al cantiere dei Balivi.
Ricordi. Nel 2012 col Prof. Elio Antonello, presidente della SIA (Società Italiana di Archeoastronomia) in visita al cantiere dei Balivi.

La Torre dei Balivi costituisce lo spigolo  di nord-est della cinta muraria romana di Augusta Praetoria Salassorum e si trova nel punto più elevato della città romana. Deve il suo nome ai Balivi, appunto, ossia ai rappresentanti del Duca di Savoia in Valle d’Aosta incaricati della riscossione delle tasse e dell’amministrazione della giustizia. La Torre è stata sede delle prigioni regionali fino al 1984; in seguito, dopo un primo periodo di abbandono, a partire dal 2000 è stata oggetto di un lungo e complesso cantiere di studio, recupero, restauro e valorizzazione approdato, infine, alla rifunzionalizzazione del complesso in quanto sede del Conservatorio regionale.

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A partire dall’ originario piano di spiccato della torre (cioè l’antico livello del suolo da cui la torre emergeva fuori terra) fino al quinto corso di blocchi in travertino che ne compongono il paramento, si tratta dell’opera muraria originaria pertinente all’epoca di costruzione della torre, ovvero dell’epoca di fondazione della colonia: l’età augustea. Dal quinto corso in su è invece la torre medievale, frutto dei rimaneggiamenti e della sopraelevazione operata dalla nobile famiglia dei De Palatio nel corso del XII secolo. I livelli augustei, fino a questo scavo, erano sempre stati sotto terra almeno a partire dall’età tardoantica quando frequenti e poderose alluvioni portarono all’esondazione dei due rus (canali) che si incrociavano proprio in prossimità dell’angolo nord-est della cerchia muraria.

QUANDO DICI ANOMALIA…

Zoomiamo: spigolo sud-est della suddetta torre. Anomalie, strane protuberanze arrotondate; insomma, un blocco angolare diverso dagli altri. Su quella superficie c’era qualcosa che chiedeva di essere indagato.

Intanto, questa pietra occupa una posizione importante per la statica e lo scarico dei pesi della torre e non a caso è stata montata in opera con l’utilizzo di particolari incastri a “L”.

Dopo aver liberato il blocco dai depositi alluvionali che lo occludevano, ecco comparire le due facce a vista. Entrambe decorate da simboli ad altorilievo suddivisi su due o (nel caso della faccia che guarda a sud) tre registri. In entrambi i casi il registro più basso è occupato da un evidente elemento fallico. I due falli indicano lo spigolo della torre, quasi a voler accentuare la protezione di un punto potenzialmente “pericoloso” e a voler suggerire una direzione specifica: un punto all’orizzonte posto a sud dell’Est.

SIMBOLI

Cominciamo con l’esame della faccia che guarda verso Est. Dal basso è ben riconoscibile un fallo orientato Nord-Sud sormontato da un elemento frecciforme che, dopo una lunga serie di ricerche e alla luce delle considerazioni cui si è pervenuti alla fine dello studio, rappresenta verosimilmente la punta di un vomere di aratro.

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La faccia meridionale presenta anch’essa un fallo, stavolta orientato da ovest verso est, sormontato da uno strumento a forma di “Y” raffigurato in diagonale dall’esterno verso l’interno che, grazie a significativi confronti con raffigurazioni di arature sacre presenti sul verso di monete augustee delle colonie iberiche di Caesaraugusta (Saragozza) e Augusta Emerita (Merida), è stato identificato col manubrio di un aratro, seguito da un elemento falliforme di minori dimensioni; infine, leggermente al di sopra di quest’ultimo, si distingue una sorta di protome zoomorfa (cioé: la parte anteriore di un animale), presumibilmente cornuta e in posizione rampante con le zampe leggermente divaricate.

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Allora, andiamo con ordine.

Innanzitutto la presenza di simboli fallici su mura di epoca romana non deve stupire. Sono, infatti, relativamente comuni e parecchio diffusi (se ne vedono ad esempio sulle mura di antiche città laziali come Anagni o Alatri, ma si ritrovano anche sul Vallo di Adriano). Sono di solito collocati in punti-chiave come angoli sporgenti, torri e porte. Il ruolo del fallo era apotropaico (cioè: doveva tenere lontano il male). E contemporaneamente richiamava l’idea della buona sorte e della fertilità.

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TRACCE DI FONDAZIONE

Le mura erano considerate sacre ed inviolabili, in quanto riflettevano il complesso rito di fondazione delle città stesse. Tale rito, replica ideale della mitica fondazione di Roma, aveva il suo culmine nel tracciamento del perimetro della nuova colonia tramite un aratro tirato da una coppia di buoi bianchi (un bue e una giovenca) guidati da sacerdoti esperti anche nell’osservazione celeste. Solo dopo aver capito quale fosse l’orientamento astronomico più favorevole alla nascita della nuova città, si procedeva a disegnarne a terra il perimetro. La città doveva essere il riflesso del cielo in Terra.

Quindi, anche il ritrovamento di Aosta si inserisce in una ben consolidata tradizione. Su questo blocco ritroviamo l’unione di falli e aratro; o meglio, aratro e fallo si richiamano come fossero un oggetto solo. L’aratro è il fallo che apre la Terra e la rende feconda.

UNO STRANO ANIMALE A DUE ZAMPE

Rimaneva da capire e interpretare la figura animale. Sottolineo che sul blocco era riconoscibile solo la parte anteriore. E quella posteriore? Non si trattava unicamente di abrasione o degrado. Quella parte semplicemente non c’era mai stata. Sul blocco infatti non c’era proprio lo spazio utile alla rappresentazione di eventuali zampe posteriori. Se da un lato è vero che, in presenza di aratro, la prima cosa cui si pensa è un bovino, tale considerazione unita alla posizione di questo animale non davanti, ma sopra l’aratro, ci ha fatto molto riflettere. Dopo lunghe ricerche, ecco la soluzione: un Capricorno!

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Ma certo! Stiamo parlando di Aosta che all’imperatore Augusto deve nascita e nome. E a quanto pare anche altro. E’ noto infatti che il Capricorno, animale immaginario ibrido con parte anteriore caprina e coda di pesce, era la costellazione simbolo di questo imperatore.

Per capirlo dobbiamo risalire al momento in cui Augusto ascende al potere. Una auctoritas, la sua, strettamente legata all’uso intelligente di simboli facilmente riconoscibili. Una sorta di “propaganda” in cui forte era il legame tra potere e stelle; l’imperatore ne usciva nelle vesti di garante dei cicli celesti, e di conseguenza, garante dell’ordine e del benessere dei suoi cittadini. Il cielo era dunque il primo accreditamento per l’arrivo di una nuova “età dell’oro”!

IL POTERE DELLE STELLE

Un segno da sempre associato all’idea di rinnovamento è il solstizio d’inverno. Non deve perciò destare meraviglia che Augusto abbia voluto associare la sua immagine a quella del segno in cui sorgeva il Sole proprio in quel giorno, e cioè il Capricorno.

Non dimentichiamo, però, che da allora il fenomeno della precessione ha spostato il solstizio nella regione celeste compresa tra Scorpione, Ofiuco e Sagittario.

Il “potere delle stelle” augusteo era quindi il Capricorno.

Tale associazione si ritrova in numerose fonti storiche, in svariate monete imperiali (verrà poi ripreso anche da successori quali Vespasiano) e in raffinate opere artistiche. Una su tutte la nota Gemma Augustea. Qui la figura centrale, il punto di attrazione è proprio l’imperatore Augusto sulla testa del quale splende una stella (il Sidus Iulium, comparso in cielo alla morte dello zio adottivo Giulio Cesare) e fluttua il Capricorno.

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Ma attenzione. Di fatto però il Capricorno non era il segno zodiacale di Augusto (nato il 23 settembre, quindi Bilancia). Evidentemente la propaganda imperiale lo ritenne molto più adatto come icona del rinnovamento e gli astrologi di corte seppero trovare questo astuto escamotage. Ne nacquero diverse leggende. Venne altresì associato al giorno di concepimento del principe. Ma non addentriamoci in questo meandro, non ora.

Va senz’altro sottolineato come Aosta sia una delle città più emblematiche e paradigmatiche tra le diverse fondazioni augustee. Una città da manuale che ha fornito un ulteriore elemento di studio: il suo orientamento astronomico al solstizio d’inverno.

LUCI AD EST? NO, A SUD DELL’EST!

Ma perché c’entra la scoperta dei Balivi? Non è certo la “prima pietra” (come da molti è stata erroneamente e banalmente definita), ma indica il punto da cui prese avvio il tracciamento del perimetro della città, proprio perché da tradizione si cominciava dal punto più elevato e si continuava tirando l’aratro in senso antiorario (quindi rispecchiando il moto delle stelle). Non a caso i due aratri (o meglio, l’aratro e il vomere) si “inseguono” proprio in senso antiorario.

SOLE D’INVERNO

Vi ricordate che all’inizio avevo detto che le punte dei due falli indicavano un punto all’orizzonte in una direzione a sud dell’Est? Bene, per chi come me è di Aosta, è noto che quella corrisponde alla direzione da cui si vedono i primissimi chiarori nelle mattine invernali. Parlo di “chiarore”, non di sorgere del sole, quindi non di alba (astronomicamente parlando). Ma è stato il primo indizio per intuire un legame con l’inverno.

E’ stato solo grazie al prezioso aiuto scientifico del Prof. Giulio Magli, ordinario di Matematica e Archeoastronomia al Politecnico di Milano, e successivamente al supporto degli astrofisici dell’Osservatorio astronomico regionale di Lignan (in particolare i dott. Andrea Bernagozzi e Paolo Pellissier) che ne siamo venuti a capo.

Aosta è circondata da montagne e, in particolare l’orizzonte verso sud è dominato da vette molto alte: la cresta del Mont Emilius raggiunge i 3559 metri in meno di 9 km in linea d’aria dal centro della città antica. Non è cosa da poco. Un simile orizzonte tanto alto ha pesantemente influito sui calcoli celesti e in particolare sulla comparsa effettiva del Sole sulla città al solstizio d’inverno.

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Calcolando l’ortogonalità degli assi viari principali, Kardo e Decumanus Maximi in rapporto all’altezza dell’orizzonte che è quasi di 17°, si è appurato che il Sole sorgeva in allineamento quasi perfetto col Kardo nei giorni a cavallo del solstizio invernale.

DIES NATALIS

In sintesi. Aosta, anzi, Augusta Praetoria Salassorum, fu progettata in modo tale che un asse cittadino puntasse al sorgere del Sole nel giorno del solstizio d’inverno e dunque anche al sorgere del Capricorno, segno prescelto dal suo fondatore, l’imperatore Ottaviano Augusto.

Oggi naturalmente la precessione ha cambiato lo sfondo delle stelle sul quale il Sole sorge tra 21 e 23 dicembre, ma non ha effetto sugli azimuth solari e la variazione dell’obliquità dell’eclittica negli ultimi 2000 anni è minima. Questo solo per dire che ancora oggi possiamo provare l’emozione di vedere il Sole spuntare puntuale dalla cresta della Becca di Nona in buon allineamento con il Kardo Maximus cittadino (oggi Via Croce di città…non a caso) sempre nei giorni a cavallo del solstizio d’inverno.

Il sorgere del sole in allineamento sul Cardo Maximus al solstizio d'inverno (Enrico Romanzi)
Il sorgere del sole in allineamento sul Cardo Maximus al solstizio d’inverno (Enrico Romanzi)

Nel 2014, anno delle celebrazioni in onore dei 2000 anni dalla morte dell’imperatore Ottaviano Augusto, l’evento è stato organizzato ufficialmente per la cittadinanza. Verso le 11 di mattina eravamo più di 150 assiepati in Croce di Città per assistere all’allineamento solare. Ecco il video di quel giorno (o meglio, della mattina successiva, senza gente), girato dall’amico Andrea Bernagozzi, astrofisico dell’Osservatorio Astronomico regionale di Saint-Barthélémy. Anzi, consentitemi di ringraziare nuovamente gli amici dell’OaVdA che hanno collaborato alla definizione di questa scoperta; oltre ad Andrea, anche l’amico Paolo Pellissier, venuto con me ad illustrare questo evento incredibile al Convegno della Società Italiana di Archeoastronomia tenutosi a Padova nell’ottobre 2014. Continua a leggere “Aosta e la magia del solstizio d’inverno”

Un’antica chiesa disegnata dalla Luna e protetta da una montagna sacra. L’Abbazia di Saint Maurice d’Agaune (CH)

Ad un mesetto dalla Pasqua vorrei suggerirvi una breve ma spero interessante gita “fuori porta” nel vicino Vallese svizzero, ad una manciata di km da Martigny: Saint Maurice d’Agaune, l’antica Agaunum, centro dei Galli Veragri. Un luogo assolutamente strategico, già noto ai Romani, che qui avevano creato uno snodo viario e militare lungo l’asse di collegamento tra Roma e le regioni germaniche.

E proprio a Pasqua è il momento migliore per visitare la splendida e antichissima Abbazia di Saint Maurice d’Agaune, fondata da San Sigismondo, re dei Burgundi, nel 515 d.C. e di cui nel 2015 si sono festeggiati i 1500 anni!

Sigismondo, miracolosamente toccato dalla grazia divina, decise di venire a chiedere perdono dei suoi peccati sulle tombe dei martiri della mitica legione Tebea, soldati dell’esercito romano convertitisi al Cristianesimo, primo su tutti, San Maurizio che, coi suoi fedeli compagni, venne martirizzato proprio in questo luogo nel III sec. d.C.

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Il complesso dell’Abbazia visto dall’alto

Già prima del burgundo Sigismondo, nel 380 d.C., San Teodulo, primo vescovo di Martigny, rende onore a questi martiri facendo deporre le loro spoglie in un santuario apposito ai piedi della roccia di Agaunum, non solo semplice insediamento abitativo, ma anche importante luogo sacro dei Celti indigeni. I Romani, precedentemente, vi avevano ricavato sia una necropoli che un ulteriore santuario dedicato alle Ninfe dell’acqua. Il complesso voluto da Sigismondo venne quindi danneggiato da una terribile incursione longobarda nel 574 d.C.; seguì una terza chiesa poi ancora ampliata. Finché, sul finire dell’VIII secolo d.C., si realizzò una quarta chiesa ancora più grande e connotata dalla particolarità di avere l’abside ad Occidente anziché, come di solito, ad Oriente.

Ma i guai non erano finiti: appena un secolo più tardi l’intero complesso fu nuovamente vittima della barbarie saracena. Quindi, nell’XI secolo fu ancora ricostruito dall’abate Burcardo I che volle, come emblematico ingresso monumentale alla chiesa, un originale campanile-nartece.

Qui ingenti e complesse campagne di scavo (tra cui le più significative condotte dall’archeologo Louis Blondel negli anni ’40 – ’60 del secolo scorso) hanno permesso di riportare in luce questo millennio e mezzo di vita monastica con resti architettonici che vanno dal IV al XVII secolo d.C. … una rarità!

Un denso ed intricato sovrapporsi di architetture sempre volute, costruite e ricostruite addosso a quello sperone roccioso impregnato di antica sacralità. Un baluardo naturale che, però, fu anche la causa di una devastante rovina.

Nel 1611, infatti, proprio da lì si staccò quell’enorme macigno che distrusse completamente la bella chiesa romanica obbligando i monaci a farne costruire una nuova ma con diversa collocazione, ruotata di 90° sebbene sempre adiacente alla parete rocciosa. Quello che si vede oggi è lo scavo aperto tra la parete rocciosa e l’edificio seicentesco che risulta privo di facciata, poiché è inglobata nella roccia.

Della prima chiesa del IV secolo solo poche tracce sono, ahimè, giunte fino a noi e con fatica riconosciute e rilevate da Blondel. Ad ogni modo, oltre a datarla grazie al metodo del Carbonio14 agli anni compresi tra 380 e 390 d.C., è stato anche possibile calcolarne l’orientamento, elemento assai curato e al quale si prestava sempre grande attenzione. Insomma, questa prima chiesa (quella del vescovo Teodulo per capirci) risulta allineata sull’orizzonte locale con il sorgere della Luna piena al lunistizio estremo superiore, evento che, negli anni della presunta costruzione, era associato alla Luna piena il 22 dicembre del 386 andando così a coincidere col solstizio d’inverno, un momento astronomico (come si è già osservato più volte) decisamente ricercato e carico di aspettative per i popoli dell’Antichità. 

In quell’anno, il 386 d.C. appunto, la Luna sorgeva verso le 15:40 sull’orizzonte astronomico e appariva dietro la montagna ben visibile nel cielo circa due ore dopo, nel momento in cui il Sole stava tramontando. Che impatto straordinario doveva essere vedere quel grande disco luminoso spuntare dietro il profilo aguzzo ed incombente della montagna…

La chiesa voluta da Sigismondo, invece, parrebbe allineata verso il tramonto del Sole nel giorno della festa di San Maurizio, ossia il 22 settembre: “Agaune Natalem sanctorum Mauricii“.

Decisamente rilevante, inoltre, come l’antico edificio battesimale burgundo, oggi non più visibile ma di cui sono state rilevate ed analizzate le tracce in fondazione, risulti allineato al sorgere del Sole del 19 aprile del 515 d.C.: Pasqua!

Siccome si tratta di una ricorrenza mobile, è difficile dimostrare, in assenza di testimonianze scritte incontrovertibili, che la prima pietra sia stata posata proprio in quella circostanza, ma alcuni studi recenti dimostrano come in diversi casi di fondazione di battisteri (e non solo) ricorrano allineamenti analoghi.

Per chi desiderasse approfondire l’argomento, segnalo l’interessante articolo della dott.ssa Eva Spinazzè dal titolo “Un Santo, una Pasqua e un lunistizio a Saint Maurice d’Agaune, pubblicato negli Atti del Convegno “Il Cielo in Terra ovvero dalla giusta distanza” promosso dalla Società Italiana di Archeoastronomia e tenutosi a Padova nel 2013.

 

Allora, vi va di andare a vedere di persona?

Vi troverete davanti ad un vero gioiello assai ben valorizzato la cui visita, almeno per me, ha occupato più di 2 ore! Imperdibile anche il Museo del Tesoro con preziosi oggetti di arte sacra (oltre 100!) che vanno dall’età merovingia ai giorni nostri.

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L’interessante sito archeologico annesso all’Abbazia

Da qui passa la Via Francigena e l’Abbazia, da sempre, costituisce una tappa di tutto rilievo dove risanare corpo e spirito e respirare tutto il sacro della roccia, dell’acqua, del Sole e, soprattutto, della Luna.

Stella