Castello Sarriod de La Tour. Le sirene gemelle, il magico forziere e un Grillo troppo curioso

La vita nella valle scorreva lenta e tranquilla. Il fluire delle stagioni e l’avvicendarsi delle costellazioni segnavano le consuete occupazioni contadine. Gli abitanti del piccolo borgo aggrappato alla roccia e circondato di viti erano felici di questa rassicurante quotidianità e i frutti della terra erano per loro la più grande soddisfazione.

Ma non era così proprio per tutti. C’era un giovane che non riusciva a digerire quella monotonia. No, lui avrebbe voluto di più! In realtà nemmeno lui sapeva esattamente a cosa aspirasse, ma stava di fatto che quelle quattro case, quelle quattro mucche e quelle solite facce gli stavano stretti.

E poi non andava d’accordo con nessuno! Rimasto orfano ancora in fasce, era stato cresciuto da un’anziana del paese che tutti additavano come strega (in fondo era solo una brava erborista molto più intelligente di tante “brave donne” angeli del focolare, ma si sa… la lingua della gente spesso non conosce freno né misura!). E proprio come lei, anche per lui le dicerie e i pettegolezzi erano all’ordine del giorno! Non solo per quel suo carattere strano, per le sue bizze, per quell’insana tendenza a ficcarsi sempre nei guai e a spiare nelle case degli altri, ma anche per quel suo non felicissimo aspetto fisico che gli era valso il soprannome di “grillo“.

Eh sì, purtroppo quelle gambe e quelle braccia eccessivamente lunghe e magre montate su un busto tozzo e squadrato, sormontato a sua volta da un testone veramente troppo grande con quella buffa bocca larga… beh… pareva proprio un grillo! In più, se si considera che di voglia di faticare non ne aveva (nonostante, quando decideva di impegnarsi, fosse un ottimo falegname!) e che trascorreva gran parte delle sue giornate a bighellonare in giro nei campi strimpellando la sua vecchia ghironda e cantando, beh.. un “grillo” fatto e finito!

E anche con le ragazze non andava bene…figuriamoci! Bruttino, tendenzialmente arrogante, un po’ “grezzo” e senza un lavoro…tutte gli stavano alla larga!

Fu così che una notte si alzò di scatto dal letto, prese due cose indispensabili, la sua ghironda e se ne andò di casa. Basta, quel villaggio noioso che non lo capiva non era il suo posto!

Ad un certo punto, nel cuore di una notte che più scura non si può, smarrito il sentiero, si accorse di essere giunto sulle scoscese rive di un fiume impetuoso; le sue acque gonfie e turbolente rumoreggiavano e biancheggiavano sbattendo contro le rocce. Grillo era stanco, aveva fame e, non neghiamolo, aveva anche paura. Si sedette sul bordo del fiume e per tranquillizzarsi si mise a suonare canticchiando sommessamente.

Dopo pochi istanti gli parve di udire delle voci, una sorta di controcanto… voci femminili, soavi, leggere. Smise di suonare e ascoltò con attenzione. Nulla. Riprese a suonare fissando l’acqua.

Ecco, ancora quelle voci! Fissò l’acqua e dalla spuma argentea gli parve di vedere levarsi dei bagliori cangianti: subito sembravano due trote iridescenti, poi, no, due creature con testa di donna ma coda di pesce, no..ecco: erano due luminose ragazze. Pensò ad allucinazioni. E invece, no! Davanti ai suoi occhi presero forma due splendide fanciulle che cantavano in un modo difficile da descrivere. Voci angeliche. Una coppia di giovani donne dai lunghissimi capelli talmente chiari da sembrare fili di luce lunare, con una pelle quasi trasparente, magnifiche vesti intessute col brillìo delle onde e degli enormi occhi azzurri dalle mille sfumature; occhi maliardi, che potevano ipnotizzare per sempre un uomo.

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Spiriti? Sirene? Fate? ” Buonasera giovane amico, benvenuto sulle nostre acque, sei un gradito ospite. La tua musica ci ha risvegliato e la tua voce ci ha stupite. Siamo le fate del fiume, le fate gemelle, e siamo felici della tua compagnia”.

Grillo era rimasto immobile, non riusciva neppure a sbattere le palpebre, le due gemelle erano perfettamente identiche e parlavano all’unisono, come se fosse una voce unica. Una voce suadente e ammaliante, capace di stordirti.

Le due fate uscirono dal fiume e si sedettero accanto a Grillo instillando in lui la sensazione del sentimento d’amore, della passione che diventa presto vera e propria dipendenza. Grillo prese ad andare ogni notte in quel luogo, una sorta di rada ai piedi di una balza di roccia strapiombante, raggiungibile dopo aver superato campi in pendenza e un’enorme ghiaione. Grillo era convinto di amare smodatamente le due sorelle che, almeno lui lo credeva, sembravano ricambiarlo entrambe in ugual misura. Finalmente si sentiva apprezzato, lusingato, considerato!

Dopo alcune notti, però, le fate iniziarono a chiedere a Grillo prove del suo amore, pena l’abbandono e la maledizione di una vita raminga e senza affetto. Grillo senza esitazione si disse pronto a superare per loro qualsiasi prova.

“Molto bene. Allora per prima cosa portaci la trota più grossa e colorata che esiste in questo fiume. Ma attento, non è una trota qualsiasi: è una trota magica e colui che riuscirà a pescarla diventerà l’uomo più ricco al mondo!”.

Grillo si mise in marcia e perlustrò il fiume dalla sorgente alla foce, perlustrò ogni suo affluente e, alla fine, riuscì a stanare il grosso pesce nascosto sotto alcuni ripari di roccia, in un luogo di piscine naturali color verde smeraldo. Catturata la trota, tutto baldanzoso la portò alle fate aspettandosi grandi ricompense.

Ma le due, non soddisfatte, capricciose com’erano, chiesero a Grillo altre prove. Inizialmente vollero che portasse loro il più grande noce esistente nella valle, un noce capace di dare frutti tutto l’anno e dalla cui corteccia stillava un olio profumato, introvabile altrimenti.

Grillo girò in lungo e in largo, ma alla fine riuscì a trovarlo, cresciuto non si sa bene come quasi sull’orlo di un precipizio. Ci vollero ben 3 giorni per tagliarlo e trasportarlo fino a valle.

Ma le fate sirene non erano ancora soddisfatte e diventavano sempre più volubili.

Gli chiesero di catturare il grande stambecco bianco tricorno che viveva sulle vette dei monti. Grillo, comunque assai tenace e totalmente plagiato dalle fate, ci riuscì anche stavolta seppur dopo oltre un mese di ricerche e appostamenti.

Le due fate, che in fondo, ormai stufe, speravano solo di liberarsi di lui, gli chiesero quindi di costruire, in una sola notte, una torre possente ed altissima sull’orlo della ripida balza rocciosa che strapiombava sul fiume, proprio lì dove loro vivevano, perché volevano finalmente dimorare in un castello. Se non ci fosse riuscito, per lui sarebbe stata la fine!

Questa volta Grillo era disperato; il luogo era pressoché inaccessibile e lui non era per niente un bravo muratore: non ce l’avrebbe mai fatta!

Si sedette sulla riva del fiume e scoppiò a piangere disperato chiedendo al cielo che gli inviasse un aiuto, un segno…

Ad un certo punto notò un vortice al centro del fiume che diventava sempre più ampio e turbinoso; si sollevarono onde altissime ed una violenta raffica di vento scosse gli alberi. Grillo dovette tenersi ad una roccia per non cadere in acqua…

Ecco che dalle profondità del fiume si alzò un gigante: simile al dio Nettuno, si erse dall’acqua un uomo alto quasi tre metri, con la barba blu scura e i lunghi capelli bagnati simili a piante palustri. Indossava un corta tunica color dell’acqua e si appoggiava ad un bastone di legno tutto intagliato ancora più alto di lui.

“Grillo, anche tu, con la tua ingenuità e la voglia di arricchirti in fretta, sei caduto vittima di quelle due terribili fate sirene! Sono furbe e malvagie, e ti hanno fatto credere di amarti e di agire per il tuo bene, ma non è così! Sono qui per aiutarti. Ma dovrai obbedirmi ed eseguire i miei ordini, altrimenti sarà peggio per te!”.

Grillo, attonito ed incredulo, si mise subito al servizio di questo omone immenso che, in quella stessa notte, lo aiutò a costruire una torre solida e bellissima esattamente nel punto indicato dalle fate. Quando le due se ne accorsero, irritate, tentarono di penetrare nella torre per distruggerla, ma il gigante intervenne prontamente: le catturò in una rete incantata e le rinchiuse in un forziere magico.

Quindi il gigante aiutò Grillo a riportare al loro posto la trota magica, il grande noce e lo stambecco bianco dai tre corni. Grillo era sereno, finalmente si sentiva appagato dalle sue buone azioni. Il gigante era buono con lui e gli chiedeva di aiutarlo ad ingrandire sempre più la torre per farla diventare un castello vero e proprio. In più gli ordinò di iniziare a scolpire delle figure di legno molto particolari di cui lui gli dava i disegni: dovevano essere fatte esattamente in quel modo e, una volta realizzate, doveva lasciargliele fuori dalla porta della sua stanza privata.

Inizialmente Grillo obbedì senza alcun problema. Poi, però, la sua indole ribelle e curiosa, allergica alla monotonia, ricominciò a fare capolino in lui. Grillo si chiedeva come mai il gigante non voleva farlo entrare in quella stanza… chissà cosa nascondeva, chissà quali ricchezze vi conservava… e comunque non era giusto perché era lui l’abile intagliatore, era lui a scolpire quelle figure alla perfezione e non poteva nemmeno entrare ma restare come un cane fuori dalla porta!

Il gigante si accorse che Grillo stava cambiando. Aveva capito e decise di metterlo alla prova. Gli disse che da quella sera avrebbe potuto entrare nella sua stanza in sua assenza e lasciare le statuine sul tavolo.

Grillo era soddisfatto e lusingato di questa tanto attesa novità. Entrò e si ritrovò in una grande stanza… vuota! Sì, completamente vuota! Al centro un enorme tavolo e sopra di esso un forziere: un forziere gigante come il suo proprietario, magnifico, interamente rivestito di bizzarre figure ad altorilievo. Un vero capolavoro!

Per alcune sere Grillo si attenne ai patti: lasciava le sculture sul tavolo e se ne andava. Ma non c’era niente da fare; la sua natura curiosa e impicciona emerse ancora.

“Chissà cosa nasconde in quel forziere! Chissà quali splendidi tesori che vuole tenere solo per sé! Ed io che sono un bravo e zelante artigiano non vengo neppure pagato! Non è giusto! Devo aprire quel forziere!”.

Grillo provò a cercare la serratura, ma non ve ne era traccia! Possibile? Prese allora un grosso piede di porco e iniziò a forzare in corrispondenza del coperchio. Niente! Gettò il forziere a terra e tentò di romperlo con violenza. Ad un certo punto gli parve di udire delle voci provenire dall’interno della cassa. Voci a lui note… ma certo! Erano le fate del fiume!

“Grillo, Grillo, amato Grillo, per favore aiutaci! Il perfido gigante ci ha catturate e ci tiene segregate qui dentro dove è buio e fa freddo! Grillo, ripeti ciò che ti diciamo per tre volte, poi gira tre volte su te stesso e batti per tre volte a terra prima il piede sinistro poi il destro. Solo così il forziere magico si aprirà!”.

“Siamo sorelle, le fate gemelle, siam le più belle, luce di stelle. Siamo sirene e dal fiume proviene un potere incantato che il gigante ha rubato”.

Grillo obbedì e, finita la formula, improvvisamente tutto intorno a lui prese a girare, il forziere si aprì e …

… oltre alle due sirene, ne uscirono mostri, demoni, spiriti, esseri deformi e creature sconosciute. In un frastuono insopportabile, Grillo si trovò circondato da questi esseri mentre le due sorelle si prendevano gioco di lui ridendo a squarciagola. Il poveretto invocò l’aiuto del gigante. Una luce azzurra fortissima entrò dalle finestre e, nella sua immensità, apparve il gigante. Agitando il suo altissimo bastone intagliato ingaggiò una lotta con le sirene e le altre creature uscite dal forziere. Dopo scontri indescrivibili, per fortuna il gigante ebbe la meglio.

I mostri e le varie creature vennero trasformate in figure di legno e intrappolate per sempre sul soffitto della stanza che, successivamente, venne battezzata “Sala delle Teste”.

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Le due terribili fate sirene furono trasformate in dipinti e immobilizzate nei muri della cappella, sorvegliate in eterno dallo sguardo divino.

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E Grillo? Grillo venne punito per la sua intemperanza e, trasformato in un essere buffo e ridicolo, imprigionato anche lui nel muro della cappella, proprio in mezzo alle due fate sirene, la sua ossessione. Lì sconterà la sua pena col compito di proteggere quel luogo dal malocchio e dalle invidie.

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E il gigante? Lui prese dimora all’esterno della cappella, in modo da proteggere e controllare per sempre quel castello che, sapeva, sarebbe appartenuto per secoli ad una famiglia potente.

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Un castello fatato, insolito, apparentemente disordinato, ma che racchiudeva un fascino tutto particolare.

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Quel castello esiste ancora! E’ il castello Sarriod de La Tour a Saint-Pierre, in Valle d’Aosta. Sarete in grado di ritrovare Grillo, le fate, il gigante e i vari esseri usciti dal magico forziere?

Ringrazio l’amico Enrico Romanzi per la splendida foto che ho usato come copertina. Sarriod de La Tour visto dal basso, dal fiume, forse dal luogo dove vivevano le due fate sirene…

Stella

Castellaccio di Pont-Saint-Martin. La maledizione della principessa

Il regno dei SanMartino occupava un territorio importante e strategico. Lì tutte le strade si incontravano: quelle dalla piana, quelle delle colline, degli alti valichi e del fondovalle centrale. E questo fu la base della loro straordinaria potenza e immensa ricchezza.

Purtroppo, però, dopo antenati attenti e lungimiranti amministratori, tutto passò (e non senza colpi bassi) al dissennato Guglielmo che, mai sazio di denari, iniziò a vessare i viaggiatori e gli abitanti con ogni sorta di tassa. Non contento, se ne aveva voglia, si divertiva a razziare villaggi, fattorie e a rapire giovani fanciulle che poi teneva rinchiuse nella torre a nord del suo maniero riducendole alla fame.

Una di queste, però, tanto affascinante quanto intelligente, riuscì a diventare qualcosa di più di un semplice capriccio. Si chiamava Perla ed era originaria di un villaggio poco a monte del castello. Sembrava davvero che Guglielmo si fosse finalmente innamorato e Perla, nel frattempo in dolce attesa, si aspettava che lui le chiedesse di sposarlo.             Ma purtroppo così non fu e, nata una bimba, Guglielmo la cacciò malamente obbligandola a vivere rinchiusa in una torre isolata che sorgeva proprio sul versante opposto della valle: la scura torre di Pratomozzo. Un luogo impervio che doveva il suo stesso nome al fatto di essere circondato da dirupi e burroni; lo stretto pianoro su cui sorgeva la torre era accessibile unicamente attraverso un ripido sentiero ritagliato nella roccia.

La Torre di Pramotton, alias Pratomozzo (comune.donnas.ao.it)
La Torre di Pramotton, alias Pratomozzo (comune.donnas.ao.it)

Lysia. Questo il nome che Guglielmo diede alla sua unica figlia che, negli anni, crebbe in bellezza ed intelligenza… ma anche, ahimè, in perfidia e avidità. Lunghi capelli rossi e ammalianti occhi verdi, come la povera madre; indole “nera” e insaziabile ambizione, come il padre.

Immaginando Lysia (da ancient-origins.net)
Immaginando Lysia (da ancient-origins.net)

Un padre che effettivamente la adorava e la viziava; anzi, provava una sorta di venerazione per quell’unica figlia. La sola ad essere stata riconosciuta. La sola che, nei progetti di Guglielmo, avrebbe dovuto governare il regno dei SanMartino dopo di lui, nei modi da lui stabiliti.

A Lysia era stato detto che la madre l’aveva abbandonata, cosa che a lei rendeva il padre ancora più importante e degno di rispetto. Invece Perla aveva trascorso gli anni che le restavano chiusa nella torre di Pratomozzo, nella più completa solitudine, pensando a quella bimba che le era stata strappata. Una notte, giunta ormai sul punto di morire, guardando le stelle dell’Orsa Maggiore, espresse un estremo desiderio:

“Guglielmo, maledetto sia tu e tutta la tua stirpe. Quella figlia che per te ora è vanto, per tutti e per se stessa diventerà tormento…”

Passarono gli anni. Guglielmo, afflitto nel corpo dai mali dell’età, ma soprattutto nello spirito per un’insidiosa forma di pazzia, morì suscitando il tripudio di molti, ma…

Ma il gaudio divenne ben presto paura quando a tutti fu chiaro di che pasta era fatta Lysia, vera erede del padre in tutto e per tutto! Chi osava disobbedirle, anche per futili motivi, poteva rischiare di non vedere l’alba del giorno seguente. Molti nobili, anche d’Oltralpe, si erano fatti avanti chiedendola in sposa o proponendo i loro rampolli, ma tutto era stato vano. Lei voleva regnare da sola e ambiva ad ampliare il regno paterno non esitando a muovere guerra ai vicini. E lei stessa, armata, scendeva in battaglia alla testa dei soldati brandendo lo spadone paterno, senza alcuna pietà.

Anche i suoi fedelissimi avevano paura di lei; e Lysia stessa non si fidava di nessuno.

Una notte d’inverno, qualcuno bussò al castello. Lysia era sveglia e, chiamata dalla guardia, scese all’ingresso. Davanti a lei stava una donnina anziana, piccola e malferma, avvolta in uno spesso mantello di lana. “Mia potente Signora, per favore, potete concedermi ospitalità per questa notte gelida?”, chiese la donna tremante.

Lysia inarcò il sopracciglio e stava per farla cacciare quando disse: “Vediamo se avervi come ospite mi conviene… chi siete?”. “Sono un’erborista, Signora. Se mi accogliete, posso mettere a vostra disposizione il mio sapere…”.

L’anziana scostò il pesante cappuccio che le copriva il volto e fissò Lysia con uno sguardo penetrante e ipnotico. “E’ sicuramente una strega” – pensò Lysia – “potrebbe farmi comodo…”.                                                                                                                                       “Venite, entrate pure… accomodatevi accanto al fuoco e raccontatemi di voi…”.

Ma la saggia anziana aveva subito percepito l’animo torbido e le reali intenzioni della principessa e  disse: ” Mia Signora, la fama vi precede ma non vi dipinge fedelmente… La gente di ogni contrada, anche lontana da qui, parla di voi con reverenza e timore, ma non con ammirazione… La vostra grande bellezza è nota quanto, tuttavia, la vostra ferocia, ma… ora che ho il privilegio di vedervi di persona, beh… il vostro aspetto supera ogni immaginazione, così come la vostra straordinaria ricchezza. Tuttavia non sembrate una cattiva persona…”.

A queste ultime parole Lysia si infuriò! “Io sono la principessa Lysia di SanMartino! Tutti devono obbedirmi e rispettarmi! Io decido della vita e della morte! Io devo essere rispettata e temuta perché valgo più di 100 uomini!”.

“Ma mia Signora, voi potreste manifestare il vostro valore in modo diverso… non con la guerra e l’odio… magari..”. “Taci vecchia!”, la interruppe Lysia, “Ascoltami! Tu conosci i segreti delle erbe, giusto?! Ebbene, esigo che tu mi prepari una pozione che mi renda la più forte, temuta, invincibile! Capito?! Altrimenti…”.

“Altrimenti?”, ribatté calma la donna, “mi farai rinchiudere nella torre di Pratomozzo come la tua sventurata madre?”.

Lysia sgranò gli occhi: “Cosa? Come ti permetti? Che vane parole osi pronunciare, vecchia! Mia madre mi ha abbandonata alla nascita!”.

“Se ti fa comodo crederlo… ma forse avrai modo di verificare tu stessa…”.

“Smettila, e datti da fare con quanto ti ho richiesto! Prima dell’alba dovrà essere pronto!”.

L’anziana saggia erborista si mise all’opera, sorvegliata da due guardie. Ai primi chiarori fece chiamare la principessa: “Ecco Signora, ciò che saprà rendervi la più forte, temuta e invincibile…”.

“Ottimo! Guardie, portate subito questa donna alla torre di Pratomozzo! Pare sia un luogo a lei gradito…” e rise maligna. Mentre veniva trascinata via la vecchia gridò:

“Se entro la prima luna piena di maggio nessuno ti avrà riconosciuta, nessuno mai più potrà farlo e in eterno la tua memoria sarà perduta!”.

“Vecchia pazza!”, pensò Lysia che avidamente bevve la pozione maledicendone il sapore terribile. Subito fu colta da un sonno insostenibile e si ritirò nella sua stanza.

Quando si svegliò le sembrava di avere un macigno addosso e la vista appannata. Faceva fatica a muoversi; era goffa e impacciata. “Ma che diavolo mi ha dato quella strega? Imbrogliona! Lo sapevo… ah, ho fatto bene a farla rinchiudere lassù!”.

Poi si alzò, molto lentamente ma… un urlo agghiacciante riempì il castello. Lysia vide la sua immagine riflessa nello specchio e…era un orso!

Un enorme orso fulvo, dal pelo rosso come i suoi capelli! Di lei restavano solo gli occhi: verdi, assolutamente inusuali per un orso. Non poteva parlare ma solo rugliare, come la belva che era diventata!

Uscì correndo dalla stanza cercando aiuto ma tutti, alla sua vista, scappavano terrorizzati. Le guardie, almeno i più coraggiosi, tentavano addirittura di ucciderla! La sua forza era immensa: con una sola zampata faceva volare in aria due uomini contemporaneamente. Con un morso poteva tranquillamente staccare di netto una gamba.

Dopo aver percorso tutto il maniero nella vana ricerca di un riparo, distruggendo tutto ciò che incontrava, lasciando vittime e feriti dietro di sè, riuscì ad uscire nascondendosi tra i boschi.

Immediatamente si sparse la voce che Lysia era scomparsa. Si diceva che un orso terribile fosse entrato nel castello e l’avesse divorata seminando il panico e mettendo in fuga tutta la sua corte e l’esercito.

Presto ci si rese conto che davvero l’erede dei SanMartino era svanita nel nulla! Alcuni intrepidi osarono entrare nel maniero deserto razziando tutto ciò che potevano e, per vendetta, distruggendo il resto. Gruppi di mendicanti e vagabondi vi si insediarono bivaccando, mangiando e bevendo fino all’esaurimento di ogni scorta disponibile. E prima di andarsene, per puro e gratuito divertimento, appiccarono il fuoco dove capitava. In poco tempo l’austero palazzo di una potente famiglia, non esisteva più, ridotto ad un cumulo di macerie e rovine, rapidamente divorate dai rovi e dalle ortiche.

Castellaccio di Pont-Saint-Martin (viaggiatorinelweb.it)
Castellaccio di Pont-Saint-Martin (viaggiatorinelweb.it)

Lysia vagava, muovendosi preferibilmente di notte, sempre all’erta, pronta a fuggire ad ogni minimo rumore. E raggiunse così l’altro versante, più boscoso e disabitato, pensando che proprio la torre di Pratomozzo, luogo avvolto da cupe leggende, dove mai nessuno osava andare, avrebbe potuto darle un valido riparo.

Giunse ai piedi del tetro torrione con le ultime luci del tramonto; il portone era stranamente divelto e, cauta, entrò.

“Eccoti! Ti stavo aspettando!”. Lysia sobbalzò! Emise suoni gutturali e ficcando gli occhi nell’ombra, vide una figura prendere forma pian piano… l’erborista! “Sapevo che la tua sconsiderata brama di potere ti avrebbe ridotta così! Ora sta a te, mia superba principessa! Intanto, tieni… un ricordo di Perla, la tua povera madre sventurata, rinchiusa qui da tuo padre…e morta pensando a te!”

Era un bracciale di magnifica fattura in oro massiccio con perle e rubini. All’interno un’incisione: lo stemma dei SanMartino e la scritta “A Perla da Guglielmo”. Rimase sconcertata! Un gioiello di sua madre! … allora, le voci erano vere! … E pianse finalmente tutte le lacrime mai versate in tutta la sua vita.

Avrebbe voluto poter parlare per chiedere all’erborista mille altre cose,anche solo per sapere come porre rimedio a tutti i suoi errori, ma la donna era scomparsa: al suo posto una splendida civetta dai grandi occhi magnetici aprì le ali e spiccò il volo.

Nel regno, intanto, regnava il disordine più totale! Vari nobili confinanti pretendevano di impadronirsi di un regno rimasto vacante. E molti cacciatori avevano avviato una capillare caccia all’orso sperando che, se avessero ucciso la belva colpevole, avrebbero potuto guadagnarci parecchio! I più coraggiosi si spingevano fino a Pratomozzo e l’orsa Lysia ne aveva già eliminati diversi. Le leggende sul gigantesco orso rosso divoratore di uomini che aveva preso dimora nella torre del diavolo ormai non si contavano più!

Passarono mesi, anni… Fino a che, in un pomeriggio di maggio, si avvicinò alla torre un giovane. Lysia lo spiava dalla sua tana tra le rocce. Il ragazzo era sicuramente un nobile: lo stemma sulla corazza parlava chiaro. Si muoveva guardingo, armato di arco e frecce.

“Eccone un altro”, pensò Lysia, “ma quando la finiranno? Aspetterò il favore delle tenebre e anche questo sarà mio!”.

Scese la notte. Una sottile falce di luna rischiarava debolmente il cielo di ponente. Il volto di Diana aveva ricominciato a crescere: quella era l’ultima possibilità di riscatto. Ormai Lysia aveva capito che le parole dell’anziana erborista erano vere e presto la profezia si sarebbe avverata. Ma forse, non le importava nemmeno più. Quante bugie le erano state dette! E di quanta ipocrisia lei stessa aveva vissuto… forse, a quel punto era meglio morire…

Lysia, con passo felpato, ormai esperta conoscitrice dei luoghi, capace di muoversi al buio, si avvicinò al giovane assalendolo alle spalle, quasi fosse stata un’ombra balzata fuori improvvisamente dal buio.

Il ragazzo si voltò, cercò di difendersi. Gli occhi di entrambi si incontrarono per un attimo e Lysia, con una zampata, lo ferì. Sotto di lei il giovane sanguinante respirava affannosamente; “Non uccidermi, ti prego! Me ne andrò, dirò a tutti che ho trovato le tue ossa, che sei morto… nessuno ti darà più la caccia ma, per favore, se mi capisci, non uccidermi!”.

Quelle parole prive di malvagità, colpirono Lysia a tal punto che decise di lasciarlo stare. Si accucciò mansueta al suo fianco scaldandolo col suo corpo e difendendolo dalle insidie della notte.

Al mattino il giovane si svegliò. Non riusciva ad alzarsi per la ferita al fianco. Subito vide l’orso accanto a lui che lo fissava pacifico. Co la zampa gli avvicinò dei frutti di bosco, quasi invitandolo a mangiare.

Il giovane non poteva credere ai suoi occhi! “Tu, tu mi capisci dunque? Grazie per avermi risparmiatola la vita… io.. o Dio ma sto parlando ad un orso, è assurdo!”.

Lysia rugliò sorniona. Il giovane si presentò. “Beh, non so chi tu sia… io mi chiamo Valesio. La mia famiglia domina le terre al confine tra gli alti monti e le colline arrivando sù oltre le cime innevate a nord. Siamo confinanti coi SanMartino… o meglio, col loro regno che, ormai, beh, non esiste più, insomma… l’ultima principessa, “Lysia la Terribile” è scomparsa nel nulla e ora in molti cercano di impossessarsi dei suoi possedimenti. La guerra infuria, anche tra parenti! E molti dicono che la colpa sia del demonio fattosi orso; un orribile orso rosso… che.. forse, sei tu?”

Lysia non perse una parola. Si alzò ed entrò nella torre facendo capire a Valesio di seguirla. Una volta dentro gli indicò col muso una pietra smossa nel muro, sotto la finestra. Valesio capì e si chinò; tolse la pietra e trovò il braccialetto. Lysia lo fissò e fu in quell’istante che Valesio si accorse che quello strano orso aveva gli occhi verdi! Occhi che parevano… umani! E quell’orso stava piangendo, lì, davanti a lui!

“Chi sei tu? Di certo non un orso normale… Quale oscuro incantesimo ti ha trasformato?”. Lysia allora col muso sospinse Valesio fuori dalla torre e si fece seguire fino ad un luogo elevato da cui si vedeva bene il castello paterno. Giunti sul posto cercò di indicarglielo con la zampa, guaendo e guardandolo.

Valesio resto inizialmente perplesso, poi: “Cosa c’è? Vuoi andare al castello abbandonato? E’ molto pericoloso, sai? non so se è una buona idea… se ti vedono… ti uccidono all’istante!”.

Ma Lysia insisteva continuando a indicare il maniero. Trascorsero alcuni giorni, poi, quando ormai Valesio si era rimesso in forze, di notte Lysia andò a svegliarlo; e lui capì. Si misero in cammino con estrema prudenza, sfruttando le ombre e l’oscurità così come la luce di una luna ormai quasi piena. Giunti nel fondovalle tutto divenne più difficile; la salita al castello poteva rivelarsi fatale: cacciatori e delinquenti si nascondevano ovunque.

Lysia guidò Valesio lungo un sentiero più impervio e nascosto, poco noto. Pareva filare tutto liscio quando, all’improvviso, Lysia gridò e si inarcò dal dolore: una freccia l’aveva colpita alla spalla! Valesio si voltò di scatto: “Che succede? Chi è?!”. Una coppia di cacciatori balzò su di loro da una rupe intenzionati ad ucciderli entrambi.

Una lotta feroce in cui Valesio e Lysia riuscirono, sì, a mettere in fuga i due malintenzionati ma che vide il ragazzo ferito a morte con una coltellata al petto.

Lysia restava al suo fianco e gli leccava la ferita guaendo. Lo guardava e si ritrovò a piangere, pregando, in cuor suo, che quel ragazzo buono e generoso si salvasse.

Ad un certo punto la luna uscì dalle chiome degli alberi e li illuminò. Una splendida civetta volò su di loro e si appoggiò sulle mura di cinta del castello. E accadde qualcosa. Valesio aprì gli occhi e rimase senza parole. Lì, accanto a lui, una meravigliosa fanciulla avvolta da un ammasso scomposto di capelli rossi lo abbracciava piangendo. Al polso, il bracciale della torre. “Madamigella… voi..,”.                 A quelle parole Lysia alzò il viso e vide le sue mani, i suoi capelli… l’incantesimo era stato spezzato!

“Valesio! Valesio… la vostra ferita… non c’è più! Io… io… siete l’unico a darmi fiducia…”

“Ma chi siete?”, chiese il ragazzo. “Sono Lysia! Lysia di SanMartino! Lysia la Terribile… ahimé! Ma non sarà più così! D’ora in avanti tutto cambierà! E spero di avervi al mio fianco!”.

Valesio non chiese altro e l’abbracciò. Le sorti del regno erano state risollevate; Lysia, la principessa-orsa, aveva capito la lezione. E il suo matrimonio col nobile Valesio suggellò un’alleanza fortunata che portò finalmente pace e benessere.

 

Stella

 

 

 

Alla finestra. Cercando le Regine delle nevi…

Già da alcuni giorni, ormai, #laMusaallaFinestra mi indica il famigliare profilo dello Château Blanc che, con le sue “torri” di roccia, ghiaccio e neve sbircia in casa nostra ogni giorno.

In una mattina di maggior suggestione l’ho indicato a Costanza dicendole:” Vedi quella montagna laggiù proprio davanti a te? Si chiama “Castello Bianco”… magari è lì che si trova il palazzo di Elsa!”. E lei prontamente:” Un castello? Eh sì, allora ci abita la regina Elsa! Ma…si vede?”

“No, non si vede da qui, sai? Le regine delle nevi si nascondono! Non si fanno vedere facilmente e non è nemmeno semplice salire sulle montagne per cercarle!”

Già, quando non sono loro che, per qualche oscura ragione o per capriccio, decidono di venire a spiarti dalla finestra e … BRRR che brivido!

Scena dallo storico film di Lev Atamanov del 1957
Scena dallo storico film di Lev Atamanov del 1957

Già, per me la sola “Regina delle nevi” è proprio quella inventata e descritta da Hans Christian Andersen, pubblicata per la prima volta nel 1846. Quella, sì, faceva un po’ paura… a me bambina “un po’ tanta” per la verità! Algida, glaciale, enigmatica…anzi, direi pure perfida! Lei, assisa sul suo remoto trono di ghiaccio in un palazzo sperduto tra le nevi eterne dove eterna è la morsa del freddo.

Lei, abbigliata come una misteriosa e nordica Afrodite Sosandra inspiegabilmente trasferitasi dalle calde coste campane di Baia nella fredda Siberia;

Afrodite Sosandra da Baia

lei, elmata come una sorta di dea Athena polare e sovieticamente robotica dallo sguardo magnetico (nella foto il confronto con la regale Athena Parthenos di Fidia del Museo Archeologico di Atene).

Già solo analizzando la commistione di queste due dee notiamo la sapiente alchimia di irresistibile bellezza, avvolgente fascino, ma candore virginale e severa austerità. Bene, ecco a voi una splendida metafora della montagna innevata. Quelle cime lontane, alte, irraggiungibili e irte di insidie che riescono, tuttavia, ad ammaliare gli uomini attirandoli a sé. Esiste una leggenda altoatesina che narra di fate misteriose vestite di bianco che, mimetizzate nella neve e nel ghiaccio, col loro canto suadente ed ipnotico attirano gli alpinisti che non possono fare a meno di salire, salire, salire… a rischio della vita. E,volubili come tutte le fate, talvolta li catturano e non li fanno tornare…mai più!

Lei, la prima Regina bianca, bellissima e irraggiungibile ma di indole malvagia che grazie ad uno specchio spiava gli uomini cogliendone debolezze e fragilità.

E sempre attraverso questo specchio, sua finestra sul mondo, notò Kai, ancora bambino; come una violenta tormenta di neve raggiunse il suo villaggio e gli conficcò un frammento di ghiaccio in un occhio e uno nel cuore. Da quel momento Kai cambiò diventando ombroso e irascibile. La Regina lo rapì e lo trascinò con sè al castello. Mille avventure dovete affrontare la piccola Gerda, sua amica del cuore per trovarlo e liberarlo.

Ecco,qualche elemento in comune con la più recente e popolare regina Elsa di Frozen c’è… ma ben poco a parte la familiarità con ghiaccio,freddo e neve e l’aver colpito al cuore la sorella Anna, partita alla sua ricerca. Elsa, un personaggio che da subito può anche non riscuotere molta simpatia ma che trova la salvezza nell’amore,anzi,il 2VERTO AMORE” come in tutti i film Disney, sia esso fraterno, pseudo-materno (come in “Maleficent”) o più tradizionale (vedi bacio del principe di turno).

Certo Elsa è più glamour con quei suoi abiti bellissimi, in particolare quello molto hollywoodiano da serata degli Oscar in paillettes azzurre iridescenti, tulle e profondo spacco. La regina di Atamanov mai si sarebbe scoperta in questo modo! Per non parlare della mossetta ancheggiante da soubrette!

Un mix riuscito e voluto di Barbie, dive del cinema e, naturalmente, PRINCIPESSE!

Elsa che fugge innanzitutto da se stessa lasciando dietro di sè solo freddo, neve e gelo. Passeggiando come nulla fosse, raggiunge un isolato sperone di roccia: la Montagna del Nord, (che trovo assai simili al nostro Dente del Gigante)

dove crea magicamente il suo straordinario palazzo di ghiaccio con una terrazza affacciata sui monti che mi ricorda tantissimo la terrazza dei ghiacciai in cima a Skyway!

E sempre riguardo alle montagne di Frozen I, vorrei proporvi un’altra suggestione. La cima doppia verso cui camminano Anna, Kristoff e Olav mi ricorda moltissimo le cosiddette “vedette del Rutor”, splendido ghiacciaio prossimo allo Château Blanc con cui ho iniziato il post. E tutto torna!

Cime dal fascino straordinario, oltretutto recentemente protagoniste di uno speciale sul numero 102 di Meridiani Montagne corredato da foto eccezionali!

Guardate un pò qua… e ditemi voi!

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Beh, che Elsa sia passata da queste parti? Sembrerebbe di sì, anche se la storia pare sia ambientata in Norvegia…dico “pare” se guardiamo le abitazioni, gli abiti, i motivi decorativi…ma… di fatto Arendelle esiste davvero e si trova in AUSTRIA!

Già, in una località che per noi archeologi rappresenta una pietra miliare nello studio della Protostoria europea: si tratta di Hallstatt!

Chi tra gli aspiranti archeologi, infatti, non si è trovato, anche solo per un esame, a studiare questa importante civiltà protostorica così chiamata in seguito alla scoperta, avvenuta nel 1846 da parte di Ramsauer, della grande necropoli situata a monte dell’omonimo centro situato nel Salzkammergut, nella regione montuosa dell’Alta Austria?
Nell’area di diffusione della cultura di Hallstatt – che comprendeva la Francia orientale, l’Altopiano svizzero, il Giura, la Germania meridionale, la Boemia, l’Austria inferiore e la Slovenia – le popolazioni erano protoceltiche, o quantomeno hanno costituito il substrato da cui, in quell’area geografica, negli ultimi secoli precristiani ebbero origine i Celti.
Ma adesso c’è di più!
Se fino ad alcuni anni fa Halstatt rappresentava, oltre ad un sito archeologico relativamente “elitario” anche un incantevole borgo alpino affacciato su uno splendido lago, l’Hallstatt See, patrimonio UNESCO per via dell’incredibile unione tra elementi storico-culturali e contesto naturale: una vera perla nel cuore del leggendario Salzkammergut, ai piedi dell’imponente Dachstein.
Un paesaggio strepitoso, pittoresco, fiabesco.
Appunto… FIABESCO, tanto da diventare la location prescelta per ambientarvi “Frozen”.
Ed ecco che il tranquillo borgo di Halstatt si è trasformato nel fantastico regno di ARENDELLE!
E, sotto lo sguardo basito degli archeologi attratti dal lago e dalle miniere di sale più antiche d’Europa, Halstatt è stata letteralmente presa d’assalto da migliaia di fans di Elsa, Anna, Olav, Kristoff e Swen!
Un fenomeno in costante ascesa. Ora i turisti a caccia dello scorcio perfetto sono davvero troppi e il sindaco cerca di frenare questa dilagante invasione!
Beh, che dire, le mie bimbe saranno felicissime di sapere che Arendelle esiste davvero e che potranno andarci anche loro!

Che viaggio fantastico abbiamo fatto! Ed è bastato affacciarsi alla finestra…

Stella

 

 

Castello di Introd. La misteriosa Signora e la corona di pietra

C’era una volta un antico regno dove gli uomini vivevano in pace e in armonia. Una natura di sfolgorante bellezza ammantava i dolci pendii che, dalle pendici della grande montagna sacra chiamata “Paradiso”, scendevano fino nel fondovalle dove scorreva lo spumeggiante fiume Aura dalle sabbie iridescenti.

In quel regno incantato tutti si davano da fare lavorando nei campi e nei boschi, allevando il bestiame, coltivando la terra e prendendosi amorevolmente cura di quanto li circondava.

Quel popolo mite e operoso non aveva bisogno di re o di comandanti: tutto filava liscio e senza dissidi. Come mai?

A monte del grazioso villaggio, di cui purtroppo non ci è dato sapere quale fosse l’antico nome, perdutosi nei secoli, viveva una saggia e anziana donna.

Immaginando la saggia e misteriosa "Signora"
Immaginando la saggia e misteriosa “Signora”

Per avvicinarsi alla collina dentro cui lei aveva ricavato il suo rifugio bisognava salire parecchio attraversando prati e boschi.

Introd - Plan de Morod (foto Patrizia Luboz)
Introd – Plan de Morod (foto Patrizia Luboz)

Infine si arrivava ad una meravigliosa radura circondata da altissime pietre. Questi enormi massi erano ricoperti di segni misteriosi che solo l’anziana “Signora” solitaria sapeva leggere e interpretare; solo a poche persone era permesso avvicinarsi, ma a nessuno di vederla.

Giunti ai margini della radura, prima di imboccare una specie di corridoio d’accesso delimitato sempre da grandi lastroni di pietra che, si diceva, fossero gli spiriti degli antenati, si chiamava la Signora a gran voce e si aspettava.

Introd - Il sentiero dei grandi lastroni di pietra (foto di Patrizia Luboz)
Introd – Il sentiero dei grandi lastroni di pietra (foto di Patrizia Luboz)

Solo dalla voce la saggia sciamana della valle riconosceva animo e intenzioni dando, quindi, ascolto oppure cacciando via chi non risultava gradito.

Era lei, con la sua sapienza, la sua veggenza e la sua magia, a far sì che nel piccolo ma florido regno tutto andasse per il meglio.

Ed era lei, e soltanto lei, che aveva il potere di comunicare col grande e potente spirito della montagna “Paradiso”. Si narrava, infatti, che fin dalla notte dei tempi quei luoghi fossero sorvegliati da un enorme drago di roccia e ghiaccio; una creatura benevola che, si raccontava, aveva coraggiosamente difeso quel regno dalle insidie di un terribile serpente. Questo mostruoso rettile primordiale voleva avvelenare tutto in modo da creare un lugubre e desolato deserto dove regnare indisturbato. Il suo talismano era una preziosa corona d’oro massiccio da cui non si separava mai.

Il grande drago di roccia lo affrontò e, dopo un lungo combattimento, riuscì a congelarlo e imprigionarlo sottoterra impossessandosi della corona, simbolo del suo potere. Un simbolo dalla forza incredibile che, se cadeva nelle mani sbagliate, poteva diventare un devastante strumento di distruzione.

Il drago del “Paradiso” aveva quindi deciso di trovare riposo nel cuore della grande montagna che, forse, proprio da lui prese il nome. La sua presenza garantiva pace e benessere.

Il drago nella montagna (disegno di Costanza Acerbi, 3 anni e mezzo)
Il drago nella montagna (disegno di Costanza Acerbi, 3 anni e mezzo)

La vecchia Signora era il tramite tra gli uomini e la potente creatura; per secoli questo perfetto equilibrio era rimasto immutato proteggendo il regno da ogni tipo di calamità, sciagura o inimicizia.

Ma, in un freddo giorno di tempesta, tutto questo rischiava di finire…

Giunsero insieme da un paese lontano, oltre le grandi montagne e le vaste brughiere. La loro terra da anni era sconvolta da malattie e carestia. I due fratelli decisero così di fuggire in cerca di fortuna. Rimasti soli, intrapresero quel lungo viaggio pieno di incognite verso la terra incantata del grande “Paradiso”.

Dopo mesi e mesi finalmente raggiunsero la meta. Subito si accorsero di quanto quel luogo fosse ricolmo di gioia e serenità. Tutti li accolsero col sorriso e a braccia aperte, offrendo loro aiuto e ospitalità.

I due fratelli, gemelli sebbene differenti, si ambientarono in fretta in quell’angolo di pace. Tuttavia rimasero stupiti della mancanza di un re… Sembrava loro impossibile che tutto fosse gestito da una vecchia “pazza” che viveva da sola in un nascondiglio perduto nel cuore del bosco, protetta da spiriti di pietra…

I due erano davvero molto diversi. Marco, di gran cuore e molto sensibile, ogni giorno si prodigava in mille lavoretti e amava quel clima di pace tanto a lungo sognato. “La vecchia Signora?”, diceva allo scettico fratello Guglielmo, “è una saggia, una guaritrice, e va rispettata! La gente di qui lo fa e infatti le cose vanno alla perfezione! Anzi, che bisogno c’è di un re col rischio di scatenare conflitti? Datti una calmata e vivi sereno, altrimenti prendi il tuo cavallo e vattene!”.

Eh già, Guglielmo…! Permaloso, ribelle e con una certa inclinazione all’attaccar briga per nulla. A lui quella “favola della vecchia” proprio non andava giù. “Secondo me non è vero! Non esiste nessuna vecchia! E’ senz’altro un modo per nascondere le immense ricchezze di questa valle e impedire che un uomo forte prenda il comando! Qui fanno tutti ciò che vogliono… altroché! Ah, ma io non mi fido! Anzi, mi impadronirò dei loro tesori segreti e diventerò re!”, ghignava l’avido ragazzo.

E così, in una notte oscura, accompagnato da un vento di tempesta, Guglielmo si avventurò spavaldo verso la dimora della “Signora”. All’ingresso del “corridoio” di alte pietre non scese nemmeno da cavallo. Fu l’animale, però, ad imbizzarrirsi e disarcionarlo fuggendo all’istante. Guglielmo, inveendo contro quella “stupida bestia” decise che avrebbe continuato a piedi. Iniziò a gridare in maniera villana: “Ehi, vecchia solitaria! Dai, esci dal tuo buco! Cos’è, sei una maga e non ti sei accorta che sto arrivando?! Io non ho paura dei tuoi incantesimi, sai?”.

Silenzio. Nessun rumore. Niente. Solo un buio sempre più fitto e gelide raffiche di vento che rotolavano, ululando, giù dalla grande montagna. Guglielmo tuttavia non aveva nessuna intenzione di fermarsi. Andava avanti nella scura tormenta urlando e agitando la sua spada. Arrivò infine a quella che sembrava una grotta, chiusa da un gigantesco masso. Si avvicinò e con enorme fatica riuscì a spostare il pietrone quel tanto che bastava per entrare, convinto di trovare il grande tesoro di quello “strano” popolo che lui davvero non capiva.

Sempre avvolto nell’oscurità Guglielmo si ritrovò all’inizio di una lunga scala che scendeva ripida verso il basso. “Lo dicevo io che non c’è nessuna vecchia! Ah ah ah… povero ingenuo mio fratello! Io troverò il tesoro e io sarò re!!”, esultò con arroganza.

Scese a grandi balzi i primi scalini che iniziarono a girare formando una specie di scala a chiocciola. Ad un certo punto vide, in fondo, una luce bianca e accelerò la sua discesa. Correva, saltava, ma nulla. In realtà non avanzava di un passo e, dopo un po’, si rese conto di stare sempre nello stesso punto. E se provava a fermarsi, gli era impossibile: la scala lo costringeva a muoversi con lei, in un eterno e sfiancante vortice verso il nulla.

Improvvisamente un rumore assordante e una voce scura e possente: “Guglielmo! Che la sciagura incomba su di te! Hai osato violare un grande segreto e un luogo sacro! Ora rimarrai per sempre chiuso qua dentro e per sempre correrai dietro ai tuoi vani sogni di ricchezza!”.

“No, no! Aiuto! Chi sei? Perdonami, ti prego! Farò ciò che vuoi ma lasciami andare!”, gridava disperato Guglielmo.

“Chi sono? E me lo chiedi? Io sono il grande drago Paradiso, protettore di questi luoghi e di questa gente! Tu hai offeso me e la mia fedele servitrice, la saggia Signora! Hai acceso la nostra ira e quindi questa sarà per sempre la tua atroce condanna!”.

“A meno che….!

“A meno che?! Cosa devo fare? Dimmelo! Chiedimi ciò che vuoi e lo farò! Sono pentito… sinceramente… come posso ottenere il vostro perdono?”.

“Taci scellerato! Tu non potrai fare proprio niente! La tua avidità è velenosa e pericolosa! A meno che… tuo fratello non si metta alla tua ricerca affrontando insidie e incognite… Se lui riuscirà a trovarti dimostrandoci che, nel mondo, almeno una persona che prova sincero affetto nei tuoi confronti esiste (benché tu non abbia mai fatto chissà cosa per meritartelo), allora forse tornerai libero…”.

“Mio fratello? Marco? Ma… ma lui non ama l’avventura, il rischio… lui, lui è un ragazzo tranquillo; se lo facesse rischierebbe la vita! No, non voglio metterlo in pericolo, non è giusto!”, protestò Guglielmo.

“Avresti dovuto pensarci prima e dargli ascolto! Ormai è tardi! Che il destino, dunque, si compia!”.

Erano già passati tre giorni e di Guglielmo non si avevano notizie. Il buon Marco iniziava ad essere preoccupato. “Sarà uno dei suoi soliti colpi di testa! Avrò giocato d’azzardo in qualche locanda e si sarà messo nei guai… o forse c’è di mezzo qualche ragazza… ma me lo avrebbe fatto sapere in qualche modo… è come scomparso nel nulla!”. Decise di aspettare ancora un paio di giorni. Nulla!

Alla fine Marco si confidò con l’anziana sarta del villaggio. Una donna buona e gentile che lo aveva preso in simpatia. Piccola e curva, col viso solcato di rughe, una massa di capelli bianchi e ricci raccolti in un disordinato chignon e, cosa che lo aveva colpito sin dal primo istante, due occhi di un verde cristallino e profondo capaci di scrutargli nell’anima.

Da lei, la vecchia Intra, Marco si sentiva accolto, ascoltato e benvoluto. Tutti nel villaggio andavano da lei e non solo per un rattoppo o per farsi confezionare un vestito nuovo! Intra sapeva dare sempre ottimi e avveduti consigli! “Se di sicuro non possiamo andare dalla Signora per ogni nostra necessità o dubbio”, dicevano tutti, “Intra è un po’ la nonna del villaggio; è una di noi e la sua lunga vita le ha insegnato molto!”.

Marco sentiva che il suo gemello era vivo e che si trovava in grave difficoltà; percepiva un forte senso di angoscia e ultimamente non riusciva nemmeno più a dormire bene. “Saggia Intra, sono disperato… Cosa posso fare? Come faccio a ritrovare mio fratello?”.

“Siediti, Marco”, gli disse Intra continuando a ricamare, “hai ragione: tuo fratello non è morto! Ma di fatto si trova bloccato in una assai brutta situazione da cui solo tu potrai salvarlo. Ma non sarà affatto semplice, mio caro ragazzo”.

Intra lo guardò. Marco aveva gli occhi sbarrati e le mani sudate… “Tieni, questo è per te” e l’anziana gli porse il ricamo appena terminato. Era un centrotavola rotondo, una specie di corona decorata con, in mezzo, una torre e un drago. Marco lo fissò interrogativo.

Stanotte recati dalla Signora. Mostrale il ricamo e… fai ciò che lei ti dirà!”.

Giunse la notte, illuminata da una splendente luna piena. Marco, impaurito ed emozionato, si mise in cammino, senza alcun tipo di armi, verso il luogo dalle grandi pietre parlanti. All’inizio del lungo corridoio gli venne istintivo chinarsi e chiedere ai grandi spiriti il permesso di avvicinarsi. Quando si rialzò Marco si accorse che le grandi pietre brillavano alla luce della luna come se fossero di vetro e illuminavano il cammino davanti a lui.

Sentendosi rassicurato proseguì stringendo tre le mani il ricamo di Intra. Arrivato vicino alla collinetta in mezzo alla radura, si gettò nuovamente a terra e disse: “Oh saggia Signora, so che tu sai di me e del perché oso venire al tuo cospetto. Con me porto questo ricamo eseguito dalla saggia Intra. Lei mi ha consigliato di recarmi qui affinché tu, Signora, possa suggerirmi il modo per salvare mio fratello. E del tuo ascolto già ti ringrazio”.

L’intera radura rifulse di luce; la collina si aprì facendo uscire un vibrante scintillìo dorato. “Avvicinati, ragazzo. Non temere. Avrai il mio aiuto”, disse una profonda voce di donna dall’interno della grotta.

Pieno di stupore e meraviglia, Marco si ritrovò in una grande stanza circolare rivestita di specchi. Ma non vedeva riflessa la sua immagine, bensì quello che accadeva in diversi luoghi sia a lui noti che sconosciuti. Sul fondo, una grande scala dorata.

“Vieni avanti Marco”, disse la stessa voce. Il giovane con cautela si avviò su per la scala: dopo molti scalini giunse ad un lunghissimo corridoio. Lo percorse fino in fondo e si ritrovò su una terrazza. Si affacciò e… sotto di lui l’enorme, immensa e possente mole del drago più grande che avesse mai visto!

“Eccoti! Sei al cospetto del grande e potente drago Paradiso!”. Marco si voltò, ma non vide nessuno. “Chiamalo, non indugiare!”.

“Oh potente drago Paradiso, sono Marco. Sono giunto fin qui per salvare mio fratello!”.

La gigantesca creatura aprì gli occhi e si voltò verso di lui. “Marco, tuo fratello voleva solo ricchezza e potere; per questo è stato condannato e sarà punito in eterno. Ma tu, che sei diverso, vieni pure da me, prendi ciò che vuoi e il potere sarà tuo!”, gli disse il drago.

“No, potente drago! Io non voglio né ricchezze né potere! Questi spettano a te e alla Signora… io voglio solo salvare mio fratello!”.

Il drago, compiaciuto, allungò il muso verso di lui:” Cos’hai tra le mani, ragazzo? E’ un ricamo mi pare… mostramelo!”. Marco glielo srotolò davanti agli occhi. “Ah, che meraviglia!”, esclamò Paradiso, “ questa è senz’altro opera di Intra… sempre una maestra senza pari! E quindi è questo che ti è stato assegnato… bene, bene mio baldo giovane! Ti attende un glorioso destino!”.

“Glorioso destino? Ma quale destino? Io voglio solo salvare mio fratello e tornarmene a casa in santa pace con lui! Dimmi dove si trova!”, si innervosì Marco.

Paradiso continuò con tono fermo e pacato sebbene imperativo: “ Ragazzo, mantieni lucidità! Il ricamo di Intra parla chiaro! Per salvare il tuo irruente fratello dovrai innanzitutto recarti nel luogo dove io cacciai la serpe antica, il mio nemico. E’ un luogo a strapiombo sulla vallata, protetto da forze oscure. Lì sorge una scura collina ricoperta da una foresta impenetrabile. Al centro della foresta, in cima alla collina, si apre un cunicolo al cui interno rinchiusi la bestia maligna che, però, pur bloccata, ha conservato il controllo su quel luogo prosciugando anche i due torrenti che vi scorrevano accanto, rendendolo così arido, sterile, mortifero. Tu dovrai annientare la serpe, per sempre! Stanala e uccidila!

Marco era impietrito… “Ma, ma io non so neppure tenere una spada in mano… e per di più ho il terrore dei serpenti! Come farò?”

“Mettiti in cammino. Parti! Abbi fiducia e coraggio! Io, da parte mia ti faccio un dono: la mia corona! Era il talismano del rettile… se lo vedrà e se supporrà di poterlo riavere, riuscirà ad uscire dalle viscere della terra dove l’ho segregato!”.

Marco prese la grossa corona, la infilò a fatica nello zaino e tornò sui suoi passi. All’ingresso Intra lo stava aspettando. Lui le corse incontro. Incrociò lo sguardo verde dell’anziana che gli mise una mano sulla spalla e lo rassicurò. Marco, per un istante, vide l’immagine di Intra riflessa su una delle pareti-specchio della grotta e, con suo grande stupore, si accorse che non corrispondeva affatto alla vecchia sarta che conosceva lui! Lo specchio, infatti, rifletteva una giovane ragazza vestita di verde con una massa di boccoli rossi… Fu un attimo, eppure…

Intra non pronunciò una parola ma tenne sempre Marco per mano e lo accompagnò fino ai margini della scura collina. Una muraglia di rovi impediva l’ingresso. E fu lì che Marco iniziò ad usare la spada: faticosamente si aprì un varco in quella nera foresta pervasa da un terribile odore di morte.

Improvvisamente Marco si sentì mancare il terreno sotto i piedi; si sentiva sprofondare nella melma e non poteva muovere le gambe! Sabbie mobili! “Aiuto! Aiuto!”. Fu in quell’occasione che Intra intervenne con la magia: Marco la vide alzarsi in volo e, con un ampio gesto delle braccia, trasformare quel putrido pantano in un placido laghetto da cui riuscì a uscire semplicemente bagnato.

“Intra, ma… tu… chi sei in realtà?”. La donna non gli rispose; si limitò a sorridergli e lo invitò a procedere.

Pochi passi e dal terreno ecco uscire un improvviso fiotto di fuoco e vapori sulfurei! A Marco sembrò che gli si bruciassero i polmoni! Non poteva respirare! Di nuovo Intra intervenne e il fuoco divenne acqua; i vapori, nebbia.

Raggiunsero insieme la sommità della collina. Tutto intorno era nero e marcio. Si udivano rumori sordi e inquietanti provenire dal sottosuolo, accompagnati da una costante vibrazione, simile ad una scossa di terremoto.

Marco si voltò verso Intra per trovare il coraggio che gli serviva. L’anziana, imperturbabile, gli fece capire di prendere lo zaino ed estrarre la corona: era il momento!

Non appena il prezioso monile venne tolto dalla sacca, la vibrazione si trasformò in un tremendo boato che squarciò la foresta riecheggiando orribilmente nell’aria. La terra si aprì e in un vortice di fiamme e lava incandescente, la malvagia serpe primordiale uscì dal suo pertugio sibilando furiosamente!

“La mia corona! Eccola! Ridammela subito, maledetto! Finalmente il giorno della vendetta è arrivato!”.

Il rettile attaccò immediatamente: le zampe dagli artigli affilati, le spire stritolanti, la lunga lingua mortifera, lo sguardo pietrificante… Marco, dalla sua, aveva l’agilità e la velocità. Cercava di difendere la corona dagli assalti della serpe. Intra osservava la scena; non voleva intervenire con le arti magiche… ma alla fine, quando vide Marco soccombere, schiacciato dalla bestia che affondava le unghie sul suo ventre, pronta a conficcargli i denti nel collo, fu allora che decise di entrare in gioco. Ma non con la magia! Serviva solo il vero coraggio. Con un balzo fulmineo prese la corona da sotto la schiena di Marco e attirò su di sé l’attenzione del serpente che subito tentò di azzannarla.

Marco si alzò in difesa di Intra, incredibilmente agile per la sua età…

La serpe era riuscita ad agganciarle la lunga chioma per divorarla, ma Marco con un salto si aggrappò alla corona e la gettò nello squarcio del terreno da cui la belva era fuoriuscita.

Immediatamente scese il silenzio. Un silenzio di pietra. Un soffio gelido rotolò giù dalla montagna: il drago Paradiso, come se prendesse forma da una nuvola, apparve in tutta la sua potenza.

“Adesso la tua fine è sancita, demone! Il tuo talismano è stato gettato nella lava incandescente e tu lì lo raggiungerai!”. E fu così che il grande drago soffiò un turbine di polvere ghiacciata sul rettile che, contorcendosi e gridando, cadde nel buco infuocato dove si dissolse all’istante.

Marco, incredulo e disorientato, vide lo squarcio richiudersi, la terra, risanata, ricoprirsi di fiori e alberi da frutto. Poi avvertì un tocco leggero sulla spalla e si voltò: davanti a lui una giovane fanciulla sorridente con una massa di riccioli rossi e due meravigliosi occhi verdi e trasparenti. “Grazie Marco! Il tuo valore e il tuo coraggio hanno rotto la maledizione che la serpe aveva lanciato prima di essere imprigionata. Era stata sconfitta, privata della corona, simbolo del suo malvagio potere, ma ahimé non del tutto! Solo un giovane umano dall’animo puro avrebbe potuto salvare definitivamente questa florida terra dal pericolo che si nascondeva nelle profondità del suo ventre. Grazie! Così facendo hai salvato anche me! Io sono la Signora. E questo luogo si chiama Introd. Io non ho età, e sin dalla notte dei tempi veglio su questi monti. E ora anche tu potrai vivere qui dove avrà origine una potente dinastia. Guarda!”.

Marco fu invitato a guardare la sommità della collina affacciata sulla vallata, lì dove la corona era stata gettata e la serpe distrutta. Lì, proprio in quel punto, Intra gettò il suo ricamo e dalla terra emerse una poderosa fortezza circolare; una grandiosa “corona di pietra” con un’alta torre al centro sotto la protezione del drago Paradiso.

Il castello di Introd
Il castello di Introd

“Ecco”, disse Intra, “questo è il tuo castello. Vai, entra: c’è già qualcuno che ti aspetta!”.

Marco si avvicinò al portale e… Guglielmo corse fuori e lo abbracciò!

I due fratelli furono finalmente di nuovo insieme; Guglielmo però, decise di lasciare Introd al fratello e, su suggerimento di Intra, si trasferì non lontano, nel fondovalle vicino al fiume Aura dove costruì una torre alta e massiccia per controllare il territorio, i transiti, il fiume e, da lì, sebbene distante, aiutare e sostenere il valoroso fratello Marco.

Corte interna del castello di Introd dopo il restauro di inizio Novecento
Corte interna del castello di Introd dopo il restauro di inizio Novecento

“Ma attento”, disse infine Intra a Marco, “questo castello sorge in un felice luogo tra le acque di due torrenti gemelli, però, nei secoli, subirà ancora il devastante attacco del fuoco. Difendetelo! Proteggetelo! E rinascerà sempre, ogni volta più bello di prima!”.

Stella

 

 

 

 

 

 

 

Torre di Bramafam. La bambina sull’arcobaleno

Per questa breve storia si rende necessaria una premessa: io in questo caso mi faccio solo scrittrice di chi ancora non lo sa fare. E’ un racconto inventato da mia figlia Costanza, 3 anni, e io desidero condividerlo con voi!

Noi passiamo davanti alla Torre di Bramafam tutte le mattine e tutti i pomeriggi, andando e tornando dall’asilo (io lo chiamo ancora così, non “scuola dell’infanzia”… mi piace di più!).

Aosta. La Torre di Bramafam
Aosta. La Torre di Bramafam

E lei guarda, guarda, riguarda…. Un giorno mi chiede che cos’è. Un giorno chi ci abita… Un giorno “ma perché è tutto chiuso?” (e qui la risposta avrebbe potuto essere un’altra domanda ma lasciamo stare…).

Aosta. Giardinetti accanto alla Torre di Bramafam
Aosta. Giardinetti accanto alla Torre di Bramafam

Finché,un pomeriggio, al parco giochi di via Festaz che, come sapete, si apre proprio ai piedi di questo misterioso castello di città, antica residenza dei Visconti di Aosta, lei se ne esce annunciandomi:” Mamma, siediti! Ti spiego una cosa del castello”.

C’era una volta, tanto tempo fa, una principessa bambina molto triste. Era stata chiusa nella torre di pietre e non poteva più uscire. Lei piangeva, piangeva, piangeva… ma nessuno la sentiva!

Un giorno però, dei bambini se ne accorsero! e sì, perché solo i bambini potevano sentirla!

Allora tutti insieme decisero di disegnare un enorme arcobaleno! Ma grande grande, eh?!

Alla fine i bambini sollevarono l’arcobaleno che arrivò fino in cima alla torre e così la principessa bambina vi salì sopra e scivolò, in mezzo a mille grandi fiori viola e blu, fino nel grande giardino! Era contenta! Finalmente aveva smesso di piangere! E da quel giorno andò sempre giocare coi bambini!

E ci viene davvero! Ma i grandi non possono vederla… solo i bimbi, sai mamma?!.

Il grande arcobaleno all'ingresso dell'asilo di Costy
Il grande arcobaleno all’ingresso dell’asilo di Costy

 

Semplice e piena di sogni e poesia… E chissà se ogniqualvolta vediamo un’altalena ondeggiare nel vento, o un dondolo muoversi, magari impercettibilmente, o dei petali viola e blu svolazzare nell’aria, in realtà non sia proprio la principessa bambina, finalmente libera di giocare!

Stella (e Costanza)