Tor des géants. Correre tra montagne di storia. Da Pont-Saint-Martin a Courmayeur

Ed eccoci giunti nel fondovalle, lì dove la piana della Dora si allunga dolcemente nel Canavese; lì dove i fitti filari dei vigneti eroici si sfrangiano tra le colline dell’Erbaluce fino a perdersi nell’orizzonte lineare disegnato dalla morena di Ivrea, tenace testimonianza dell’ultima glaciazione.

Un continuo saliscendi tra colli e valli, un continuo sbalzo di quota che mette a dura prova fisico, nervi e anima! Ma tu non puoi, non vuoi mollare! Ora hai lasciato alle spalle l’Alta Via n. 2 e la montagna stessa ti chiama; senti la sua voce possente rimbombare nelle gambe, nella testa, nel cuore! E quindi, vai! Hai toccato il punto più basso di questo giro e ora aneli a riguadagnare quota… e ai tuoi piedi, novello Mercurio, spuntano ali tenaci!

Pont-Saint-Martin. Una località che deve il suo nome innanzitutto al magnifico ponte romano del I secolo a.C. e alla leggenda di San Martino di Tours che, proprio per costruire questo ponte, avrebbe sconfitto il diavolo. Il sentiero risale il corso del torrente del Lys accompagnando alla scoperta delle terre della potente famiglia Vallaise.

Perloz, un grappolo di case arditamente agganciate al pendio roccioso, dominato da nobili caseforti sotto la protezione del santuario di Notre-Dame-de-La-Garde. Un borgo medievale che lega inoltre il suo nome alla lotta partigiana, grazie al ricco museo della Resistenza intitolato all’ardimentosa Brigata Lys.

Il ponte di Moretta (E. Romanzi)
Il ponte di Moretta (E. Romanzi)

Attenzione, però, questa è terra di leggende… Dovrete passare sul ponte di Moretta: li intorno è pieno di oscuri cunicoli… ebbene, pare siano stati scavati da un terribile drago che vi si nascondeva. Un drago che terrorizzava gli uomini e divorava il bestiame! Solo un uomo ebbe l’ardire di affrontarlo, un certo Vignal! Lo uccise, sì, ma uno schizzo del velenosissimo sangue della belva fu letale anche per lui!

Terra di magie, si diceva. Certo, come quella del non distante villaggio di Chemp, un gioiello d’arte a cielo aperto dove si nascondono strane presenze e spiriti montani: se il vento è buono potreste anche udirne la voce…

https://www.youtube.com/watch?v=tKWMXxUH9iE
https://www.youtube.com/watch?v=tKWMXxUH9iE

Oltrepassando il Lys si continua su una balconata a mezzacosta che conduce a Lillianes, accolti dal suggestivo ponte in pietra costruito nel 1733, l’unico a quattro arcate in Valle d’Aosta. Un primo “assaggio” della valle di Gressoney; in questo tratto il circuito ripercorre parte dell’Altavia n. 1, di cui fa parte un tratto del Walser Waeg, suggestivo sentiero che segue le orme della cultura Walser.

E mentre sali verso il Rifugio Coda, attento che potresti cadere nel sottile incantesimo del magico Plan des Sorcières dove un misterioso masso reca, sotto forma di coppelle, la costellazione delle Pleiadi così come doveva apparire, sembra, intorno al 5.000 a.C.

Il masso coppellato del Plan des Sorcières di Lillianes (M.G.Schiapparelli-flickr)
Il masso coppellato del Plan des Sorcières di Lillianes (M.G.Schiapparelli-flickr)

E poi ecco il Mont Mars, un nome che, al di là dei terreni zuppi d’acqua, evoca presenze divine e latitudini planetarie. E i Giganti attraversano distese “lunari”, brulle e dolci, di verde e d’argento, ingioiellate di laghi, come il Vargno, e ricamate di tenaci rododendri.

Raggiungi la zona del colle della Barma, valico di arcaica e radicata religiosità che da remoto culto delle rocce portatrici di salute e fertilità, si trasforma in luogo di devozione mariana… quassù, a due passi dal cielo, in una terra di confine brulicante di massi e pietraie, già risplende il nero volto della Madonna d’Oropa.

E dico di più: il tratto che dalla cappella dl Pillaz porta al Colle è un percorso antichissimo lungo il quale si trovano anche dei massi con coppelle; quindi un itinerario frequentato sin da tempi remotissimi che conduceva al “Masso” con la “M” maiuscola, quello di Oropa.

E allora non trailers in lotta col tempo, ma lunghe file di pellegrini d’altura, oranti e col capo velato di bianco…

Processione di Oropa al Col della Barma (foto: Rifugio Barma)
Processione di Oropa al Col della Barma (foto: Rifugio Barma)

Ed ecco che dal Colle della Vecchia, tra Valle d’Aosta e Biellese, si entra ufficialmente nella terra dei Walser, nella preziosa terra dove trovò dimora, tra XII e XIII secolo, il coraggioso popolo giunto da nord che ancora oggi le dà nome e lingua. Già, i Walser, l’ardimentosa gente di origine germanica che, lasciata la sua terra natìa, attraverso dure e spesso inesplorate vie alpine, si creò nuove patrie in un’ampia zona che va dalla Savoia francese al Vorarlberg austriaco, quasi sempre ad altitudini superiori ai 1000 metri.

Emblematico il simbolo di questa comunità radicatasi in Valle d’Aosta. Al centro appare un cuore con dieci stelle, ognuna delle quali rappresenta un paese di questa minoranza etnico-linguistica presente in Italia. Il cuore, che esprime il forte legame con la terra di origine, è sovrastato da una “croce ad angolo”, originariamente una runa, ossia un carattere dell’alfabeto nordico poi ripreso dai Romani per simboleggiare il dio Mercurio, protettore dei mercanti: allusione, questa, al mestiere principale esercitato in passato dai Walser. Infine il bianco e il rosso: i colori della bandiera del Canton Vallese.

Il simbolo dei Walser (ecomuseo walser- Gressoney-La-Trinité)
Il simbolo dei Walser (ecomuseo walser- Gressoney-La-Trinité)

Vedete quindi come davvero gli dei accompagnino questi eroi “dai piedi alati” nel loro lungo e arduo giro che, se ci pensiamo, porta anch’esso un nome divino: il dio nordico Thor, figlio del dio del cielo, Odino, signore degli dei, e della dea della terra. Thor, dio del fulmine e della forza: rapido, preciso, potente. Il suo animale identificativo? Il caprone…oppure lo stambecco! Vedete? La forza, la rapidità, la montagna….

Thor sul suo carro (VitAntica)
Thor sul suo carro (VitAntica)

(Piccolo inciso: in questo momento sto ascoltando la musica epica ed emozionale del grande Vangelis… e vi assicuro che, non potendolo fare con le gambe, sto correndo veloce con la testa, la fantasia e le dita sulla tastiera!)

Ma continuiamo insieme a volare e guardare dall’alto questo straordinario paesaggio. Vediamo i graziosi villaggi walser, usciti dalle fiabe: Niel, Ober Loo… fino alla splendida Gressoney-Saint-Jean, fulgida tra boschi e prati, col suo castello della Regina Margherita che sembra fatto di ghiaccio e cristallo (potrebbe davvero aver ispirato gli sceneggiatori di Frozen!)

Fiabe, leggende, dei e regine… la nostra cavalcata di onirico sudore s’invola alla volta di un altro villaggio incantato: Alpenzu! E da lì proseguiamo per sconfinare in un’altra magnifica valle di mitici e ardimentosi mercanti: la Val d’Ayas!

Antagnod
Antagnod

E la mitologia continua ad accompagnarci: Castore e Polluce, i divini gemelli, noti anche come Dioscuri (letteralmente) “figli di Zeus” e di Leda (anche se forse concepiti da padri diversi… ma si sa i miti sono miti anche per questo!); entrambi valenti atleti (vedete? Ennesima conferma!). Talmente uniti che, quando Castore muore, Polluce, seppure dotato di natura immortale, decide anch’egli di morire implorando il padre  Zeus di ucciderlo. Ma i due staranno sempre insieme: 6 mesi negli Inferi, 6 mesi sull’Olimpo e… tra le vette della Val d’Ayas, in eterno, nel gruppo del Rosa, insieme allo sfavillante Breithorn!

Come la vicina valle di Gressoney, anche questa condivide un’impronta culturale walser ed una vocazione commerciale. Secondo recenti studi, infatti, da qui passava la via che tra 1200 e metà del 1600, arrivando al Colle del Teodulo (nella Valtournenche), metteva in contatto i centri della pianura Padana con le città del centro Europa, in particolare con le ricchissime Fiandre.
Questa via di comunicazione, alternativa a quella del Gran San Bernardo, sarebbe stata intensamente utilizzata durante il periodo di ritiro dei ghiacciai, e sarebbe poi stata abbandonata, addirittura fino a far perdere notizia della sua esistenza, a seguito dei rivolgimenti storici e climatici del 1600: Controriforma, peste, inizio della “piccola era glaciale” che rese impraticabile il Colle del Teodulo.

E si raggiunge l’antico abitato di Saint Jacques des Allemands, la cui chiesa risalirebbe addirittura al XIII secolo e dove, sparsi ovunque tra strade, piazzette e abitazioni, si notano i caratteristici “coni” di pietra ollare, scarti inequivocabili della lavorazione di una materia prima di cui questa valle è ricca, ampiamente utilizzata sin dall’età tardoantica e altomedievale per la produzione di pentole, bicchieri, macine e stufe. Una pietra fredda ma sorprendentemente malleabile, più verde più grigia, più pura o con granati, ma dallo straordinario effetto visivo e resa artistica.

Coni di pietra ollare, scarti di tornitura (Rivista Environnement)
Coni di pietra ollare, scarti di tornitura (Rivista Environnement)

Ma procediamo! La Valtournenche ci aspetta! Superato il Grand Tournalin col suo rifugio storico costruito nel 1876 e dedicato a Georges Carrel, ci si avvicina alla vallata dominata dal “più nobile scoglio d’Europa”, il Cervino, come lo definì il poeta John Ruskin. Una terra che immediatamente richiama gli ardori del primo alpinismo, imprese avventurose e uomini divenuti icone. Da Edward Whymper a Jean-Antoine Carrel. Senza dimenticare l’imponente figura dell’abate Aimé Gorret, originario di Cheneil, ultimo di 7 fratelli, apparentemente gracile nel fisico ma poi esploso per forza, tenacia, ingegno e acume tanto da essere definito “l’orso della montagna”.

Chissà se Ruskin immaginava che nella sua splendida e iconica descrizione vi fosse del vero… Già, perché centinaia di milioni di anni fa le Alpi erano .. un immenso oceano! E le nostre cime giacevano sott’acqua in un mare preistorico pullulante vi vita! Poi, col muoversi delle grandi placche continentali, le montagne iniziarono a risvegliarsi ed è affascinante immaginare il Cervino spuntare da una distesa di antiche onde e ampie lagune come una straordinaria isola appuntita…

E chi penserebbe che le piste di Cime Bianche racchiudano nel loro nome oltre al candore delle nevi, un più antico richiamo ai candidi limi di remote paludi?

E, avvicinandoci di diversi millenni, la Valtournenche ha restituito tracce dei suoi primi abitanti. Verso la fine del terzo millennio a.C., infatti, il clima era di tre o quattro gradi più caldo dell’attuale, per cui le aree coltivabili si spostavano di circa quattrocento metri più alto, così come si verificava per i boschi e i pascoli d’alta quota. Ciò favoriva la sopravvivenza delle primitive popolazioni fino alla quota di 2400 metri; queste genti, attraverso il colle del Teodulo (nei cui pressi venne ritrovata una significativa ascia in pietra verde levigata), sin dall’Età del Rame intrattenevano rapporti commerciali con il vicino Vallese.

Sulla Valtournenche preistorica e protostorica si potrebbe scrivere per giorni… questa certo non è la sede ma attraversando rapidamente la valle possiamo citare le incisioni rupestri di Antey, quelle in loc. Barmasse di Valtournenche, per non parlare poi del fascino inusuale del grande villaggio salasso sul Mont Tantané in comune di La Magdeleine!

Campagna di scavo 2009 nel villaggio salasso sul Tantané (S. Bertarione)
Campagna di scavo 2009 nel villaggio salasso sul Tantané (S. Bertarione)

E dal rifugio Barmasse ci produciamo in un allungo fino al Cunéy dove, a 2.656 metri di quota, sorge il santuario mariano più alto d’Europa. Prima della sua costruzione il luogo era frequentato per la presenza di una sorgente benedetta: gli abitanti di Saint-Barthélemy e di Nus vi si recavano per pregare nei periodi di grave siccità. Una leggenda narra che alcuni pastori, trovata nei pascoli di Cunéy una statua della Madonna, la portarono a Lignan per riporla nella chiesa, ma la statua tornò miracolosamente a Cunéy manifestando così il suo volere: lassù doveva essere costruito un luogo di culto.

Rifugio e santuario di Cunéy (www.rifugiocuney.it)
Rifugio e santuario di Cunéy (www.rifugiocuney.it)

Testimonianza di una religiosità che pervade la storia di questa terra dalla particolare vocazione mariana, capace di ergere croci e cappelle votive anche nei luoghi più aspri e difficili per invocare protezione contro l’imprevedibile furia della natura, o per favorire la clemenza del tempo e la fecondità dei campi.

E non dimentichiamo che siamo nella vallata che accoglie anche i resti di un altro incredibile villaggio salasso con abitazioni ricavate in una sella morenica analogo all’insediamento del Tantané: quello del Col Pierrey!

L'abitato salasso del Col Pierrey (Nus)
L’abitato salasso del Col Pierrey (Nus)

Questi scaltri e inafferrabili Salassi che tanto han fatto dannare le armate romane usando, per anni, come unica vera arma quella che meglio conoscevano e padroneggiavano: la montagna! Con la sua natura forte e aspra, fatta di pericoli anche non immediatamente visibili, di trappole, di frane e slavine improvvise, di forre e burroni spaventosi…

Questi Salassi figli delle rocce, capaci di costruire villaggi sfruttando selle, gole, ripiani o alture difficili da vedere e da raggiungere ma dalle quali loro, invece, potevano controllare tutto e anticipare attacchi!

L'altura., oggi ricoperta di boschi, dove sorge il castelliere protostorico di Lignan (S. Bertarione)
L’altura., oggi ricoperta di boschi, dove sorge il castelliere protostorico di Lignan (S. Bertarione)

Uno di questi è senza dubbio il castelliere di Lignan, nato alla fine dell’Età del Bronzo e sviluppatosi nell’ Età del Ferro (1200-800 a.C. ca.). Un abitato di forma ellittica, ben protetto da mura a controllo di vie di transito in quota, un tempo ben più attive e frequentate di oggi utili, agli scambi e alle comunicazioni tra vallate confinanti sia da est a ovest che in senso nord-sud. Da vedere! Oltretutto nei pressi dell’Osservatorio astronomico regionale! Lassù, vicino alle stelle….

E sotto stelle più brillanti e vicine che mai eccoci raggiungere Oyace, luogo dal fascino autentico ed essenziale: una natura rigogliosa dominata dal severo profilo della Tornalla, una torre del XII secolo di forma ottagonale, caratteristica che la rende unica in Valle d’Aosta!

La Tornalla di Oyace (S. Bertarione)
La Tornalla di Oyace (S. Bertarione)

La leggenda la vuole costruita da un non meglio precisato gruppo di Saraceni (presenza comunque assai diffusa nelle tradizioni popolari delle Alpi nord-occidentali!) per poi divenire proprietà di altrettanto poco noti Signori di Oyace i quali, macchiatisi di iniqui comportamenti, vennero estromessi dai Savoia fino al sopraggiungere, sul finire del Duecento, dei Signori di Quart che estesero la loro giurisdizione in tutta la Valpelline.

Siamo in una vallata strategica e molto importante sin dalle epoche più remote; una vallata che lega il suo nome alla divinità alpina Pen, il dio delle vette, cui era dedicata anche la rupe sacra al colle del Gran San Bernardo. Una vallata permeabile, una vera cerniera tra popoli del nord e del sud della catena alpina.

Raggiungiamo Ollomont, già conosciuto al tempo degli antichi Salassi che comunicavano con le genti del Vallese per lo scambio di metalli e bestiame attraverso la Fenêtre Durand che si apre in fondo alla valle a 2803 m, fra il Mont Gelé e il Mont Avril. Sembra che proprio attraverso la Fenêtre Durand, Calvino, riformatore protestante, si sia rifugiato in Svizzera dopo le storiche giornate del 1536, quando i valdostani presero la decisione di rimanere fedeli alla religione cattolica e cacciarono i protestanti. Una targa ricorda poi l’espatrio clandestino in Svizzera, nel settembre del 1943, di Luigi Einaudi, futuro Presidente della Repubblica, costretto alla fuga dalla polizia nazifascista. Colpito dalla tranquillità e dalla bellezza dei luoghi, il Presidente scelse la Conca di By come meta delle proprie vacanze.

Anche in questo selvaggio angolo di montagne, ascoltando attentamente il rumore del vento misto allo scrosciare delle acque, potremmo udire una voce sottile, a tratti un mormorio, un canto “silenzioso” che si imbriglia tra i rami degli alberi e danza tra le rocce rimbalzando sui fiori…è la voce della Fata di Ollomont, da poco riportata “a casa” dall’artista Giuliana Cunéaz.

Lungo il Ru  du Mont, narra le leggenda, in un tempo lontano viveva una fata che poteva assumere l’aspetto di un serpente bianco. Questa fata benevola era la guardiana del Ru che, grazie a lei, continuava a scorrere e funzionare. Purtroppo un giorno un nuovo custode geloso si fece avanti e uccise il candido rettile che aveva il suo rifugio nei pressi di una galleria scavata nella roccia.

Fu fatale! La morte della Fata portò sventure e disgrazie e il Ru franò miseramente… Oggi ul bianco spartito ricollocata da Giuliana Cunéaz, insieme ad altri sparsi un pò sull’intero territorio regionale, tra cui ricordiamo la morena di Gressan, Ozein e il Miage di Courmayeur, si pone l’obiettivo di far rivivere le Fate e far ripercepire il loro melodioso silenzio.

Ma lasciamo ora la valle di Ollomont e, oltrepassato il Rifugio Champillon, entriamo nella valle del “Grande”, nel territorio di Saint-Rhémy-en-Bosse, storica borgata di strada nata e sviluppatasi lungo l’antica Via romana delle Gallie.

Una zona a dir poco strategica e per tale ragione abitata sin da quando i ghiacci si sciolsero lasciando pascoli, boschi e tanta acqua. Si ha notizia di necropoli tardo-neolitiche messe in luce nei pressi della chiesa a metà Ottocento.Ma il tracciato diretto al sacro valico del dio Pen, prima di venire romanizzato e dedicato al Sommo Giove, era un sentiero ripido e pericoloso infestato da briganti, Con l’insediarsi del controllo romano, quel sentiero si allargò fino a diventare strada militare e commerciale con l’imperatore Claudio, colui che trasformò l’insediamento veragro di Octodurus nella colonia di Forum Claudii Vallensium, l’attuale Martigny.

Valle di storie e passaggi;dai romani alla Via Francigena, qui, esattamente e metà strada tra Roma e Canterbury.

Mappa_Via_Francigena

Per non parlare, poi, del famoso passaggio di Napoleone Bonaparte, da poco divenuto Primo Console della Repubblica Francese, quando, nel maggio dl 1800, alla testa della Grande Armata (di cui faceva parte anche un certo Stendhal) superò arditamente i gioghi e i dirupi del Sommo Pennino influenzando, a sua insaputa, la vivace e colorata tradizione carnevalesca locale con le maschere delle Landzette. Le cronache dell’epoca evidenziano che il villaggio di Saint-Rhémy, insieme a quelli della valle del Gran San Bernardo, dovette sostenere ingenti spese per ospitare l’intero esercito napoleonico al suo passaggio.

Napoleone valica il San Bernardo (J.L. David)
Napoleone valica il San Bernardo (J.L. David)

E lasciandoci quindi alle spalle una vallata dove avremmo voluto fermarci solleticati dall’invitante profumino del Jambon de Bosses DOP, un prosciutto crudo dolce e aromatico stagionato alla frizzante aria del “Grande”, eccellenza della charcuterie regionale,  allunghiamo il passo ormai “in riserva” per muscoli e polmoni, addentrandoci nel selvaggio vallone di Merdeux che, con quello vicino di Thoules è oggi regno incontrastato della wilderness!

Thoules… consentitemi un altro piccolo inciso perché la mia “mente malata da archeologa” mi porta lì, a Thule…  Un nome tramandato dalla storia, dalla leggenda e dalla fantasia popolare, un luogo che, da sempre, identificava una terra lontana. Tule: terra sperduta e dimenticata nei ghiacci del nord (Dante, ad esempio, la colloca nell’attuale Islanda); per altri l’estremo lembo di terra occidentale oltre le colonne d’Ercole.

Cosa sia veramente Thule forse siamo destinati a non scoprirlo mai: sicuramente è una Terra che ha suscitato l’interesse dei popoli antichi, creando un mito che si è trasformato in leggenda fino ad arrivare ai giorni d’oggi. E queste vallate nude, scabre, popolate da stambecchi, me la evocano istintivamente…

Basta sognare e “perder tempo”! C’è ancora un arduo tratto da percorrere! Una tappa (indispensabile) alla base-vita del provvidenziale Rifugio Frassati prima di tirare letteralmente il collo per raggiungere lui, il mitico col Malatrà! Un nome decisamente significativo: presumibilmente un derivato dal latino tardo “mala strata” poi divenuto “malastrà”, cioè un “passaggio cattivo”, molto difficile!

Tor des Géants 2010 (© Stefano Torrione). Col Malatrà - Courmayeur.
Tor des Géants 2010 (© Stefano Torrione). Col Malatrà – Courmayeur.

Penso sia un sogno di chi partecipa al Tor arrivare quassù, in questa impervia breccia tra le rocce a 2925 mt, dove l’ultimo tratto è stato attrezzato con scalini ed una corda, per scattare quella foto… la foto emblematica che dice che sei quasi arrivato! Da qui la discesa alle Alpi di Giuè e Malatrà superiore, quindi al Rifugio Bonatti (2025 m) e da questo al fondo valle in località la Remisa (1695 m) ti porterà fino a Courmayeur sulla passerella degli eroi! Da quassù dove riesci a sentirti un gigante tra i Giganti, dover ti senti più vicino alle cime degli dei, apri le braccia, respiri forte e davanti ai tuoi occhi si apre uno spettacolo mozzafiato: tutt’intorno la catena del Gigante più gigante di tutti, il Monte Bianco.

L’orizzonte si apre, si allarga e si allunga fino alla Val Veny dove si ergono le sagome inconfondibili delle Pyramides Calcaires! Sulla destra si stagliano la mole possente della Brenva e il profilo acuminato dell’Aiguille Noire du Peuterey.

La Val Ferret serpeggia scendendo di quota rivestita di un manto verdeggiante. E laggiù, tu lo sai, laggiù l’ultimo riso d’Italia, Courmayeur, da dove eri partito, ti aspetta!

Ci sei! Ben tornato, ero dei Giganti!

Stella

Tor des Géants. Correre tra montagne di storia! Da Courmayeur a Pont-Saint-Martin.

Ci sono tanti modi di partecipare al Tor des Géants. L’Endurance-Trail più duro al mondo avrebbe festeggiato quest’anno la sua undicesima edizione…, caspita! Una gara molto più di una gara… è il TOR!
C’è chi corre per arrivare tra i primi e chi corre in montagna perché ama questa disciplina; chi corre per filosofia, per auto-analisi, per sfidare se stesso. C’è chi partecipa al Tor provenendo dall’altra parte del mondo perché vuole esserci, punto e basta! Ma c’è anche chi, nonostante i ritmi da super-eroe, vuole prendersi i suoi tempi per godersi dei momenti speciali. Momenti unici e irripetibili tra le montagne della Valle d’Aosta!

Il paesaggio segue la corsa, a volte dà la carica, spinge, sostiene, a volte asseconda i momenti di respiro (anche mentale) con le sue balconate panoramiche. A volte può esserti ostile, spezzarti le gambe e troncarti il fiato… Oppure ospitale dandoti il benvenuto nelle valli con le sue architetture caratteristiche, i suoi borghi, le chiesette, i campanili. Li vedi magari dall’alto, da lontano: ecco la prossima meta, un punto di riferimento nella tua cartina mentale e psicologica.

È la bellezza del salire e dello scendere, del veder cambiare i paesaggi con un ritmo naturale che accompagna quello del cuore a 1000 e del respiro: i borghi, poi i boschi, sempre più fitti e scuri; poi i pascoli, le ampie radure luminose in quota, fino alle tracce segnate sugli altipiani, i colli, le rocce, la neve residua o appena arrivata. Assaggi d’inverno in una montagna senza tempo che scivola dolcemente nell’autunno.

E quanta storia si nasconde, più o meno segreta, lungo il percorso, nelle pieghe di questa terra così ondulata, severa e dolce allo stesso tempo.

A cominciare da subito, da Courmayeur! Che emozione, ogni volta, la partenza…Uno spettacolo vedere questo fiume colorato e brulicante di atleti che attendono frementi un count-down da brivido ai piedi del “Gigante dei Géants” sfolgorante di bianco e di roccia!

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Tor_Geants_18_Day1_Courmayeur_start_ph-Stefano-Jeantet_LD-23

Certo, dici “Courmayeur” e subito pensi alle montagne più alte d’Europa, alle splendide piste da sci, ai negozi alla moda, ai locali VIP…. agli hotel 5 stelle…al turismo di lusso. Ma Courmayeur ha un’anima antica, tutta da scoprire nei suoi angoli più nascosti e meno appariscenti. Come nelle viscere segrete della chiesa di S. Pantaleone, dove le testimonianze archeologiche più antiche risalgono verosimilmente al III secolo d.C.!

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O come la piccola frazione di La Saxeun grappolo di case annidato alle pendici dell’omonimo monte che lo sovrasta. Un villaggio leggermente defilato rispetto alla viabilità principale, che conserva tutta la poesia ed il fascino di un tempo. La Saxe: nata dalla roccia, come il suo stesso nome, del resto, dichiara.

Guardiamoci attorno: la candida muraglia del Monte Bianco, la piramide rocciosa del Mont Chétif, le umide pendici boscose del Mont Cormet e, infine, il macigno pietroso del Mont de La Saxe. Quest’ultimo, probabilmente, quel “saxum” (anzi, “saxa”, al plurale) che ha dato nome a questa piccola e suggestiva frazione.

Un nome antico; un nome che, se vogliamo, in qualche modo anticipa, seppur velatamente, l’antica frequentazione di questo discreto lembo montano.

Nei pressi della graziosa cappella del villaggio si insinua una stradina dal nome a dir poco evocativo: Rue Trou des Romains (Via [del]Buco dei Romani), che prende nome proprio dalle miniere che si dicono romane.

Fu lungo questa via che, nel 1927, in occasione di alcuni lavori edili, fu rinvenuta una tomba romana ad incinerazione databile, grazie agli oggetti del corredo ritrovati al suo interno, tra la fine del I secolo a.C. e la metà del secolo successivo. La tomba, infatti, aveva restituito diversi materiali ceramici tra cui una lucerna, ed una significativa armilla (ossia un bracciale) in pietra ollare: un monile tipico delle parures galliche alpine. All’epoca la scoperta ebbe una certa risonanza tanto che si decise di collocare temporaneamente gli oggetti nel Museo Alpino Duca degli Abruzzi in modo che potessero essere apprezzati anche dai sovrani d’Italia, Re Umberto II e Maria José.

LaSaxe--veduta_1930
LaSaxe–veduta_1930

Purtroppo non si hanno ulteriori informazioni storico-archeologiche su quest’area, ma pare impossibile pensare ad una tomba isolata anche in considerazione del fatto che tale fortuito ritrovamento parlerebbe di oggetti sia maschili che femminili, quindi si può supporre la presenza di  almeno un nucleo famigliare. In più questa era, allora molto più che adesso, una zona meravigliosa coi suoi pianori soleggiati, i pascoli, le folte foreste, protetta dai venti e ricca di acque..insomma, un luogo ideale dove fermarsi e vivere coltivando la terra e dedicandosi, come già i predecessori Salassi, alle attività minerarie.

Ci piace immaginare che, sia per l’origine chiaramente latina del nome del villaggio, sia per quanto ci narra lo storico Strabone in merito alle fantastiche miniere d’oro ambite dai Romani ( le note “aurifodinae” ipotizzate proprio nella zona del Mont de La Saxe), qui vi fosse un piccolo insediamento frutto della convivenza tra Romani (perlopiù militari) e popolazione autoctona.

La via Trou des Romains si trasforma in un piacevole sentiero che accompagna fino nella selvaggia Val Sapin. E’ questa una vallata severa e scarna, ma ricca di un certo fascino antico e quasi dimenticato, tipico di quei luoghi montani appartati dove protagonista è solo la Natura. Dove oggi si odono perlopiù i muggiti delle mandrie e il lontano vociare degli escursionisti, ma in antico questa zona doveva risuonare degli echi metallici delle forge e delle voci dei minatori. Ci siamo. Queste sono le pendici delle “aurifodinae”, miniere di piombo argentifero probabilmente già conosciute e sfruttate dai nativi Salassi prima che da Roma.

Nel XVIII secolo queste miniere erano state definite il “Labyrinthe” proprio per il loro intricato sviluppo sotterraneo ed il difficile ingresso. In effetti è un luogo pericoloso: appena oltre la bocca d’entrata, infatti, un baratro protegge i segreti di queste antichissime gallerie.

Ma il Tor prosegue veloce; restano sommersi sotto i piedi degli atleti questi millenari segreti. Tutt’intorno il trionfo delle vette e dei ghiacciai. Il fiato si mozza e allora, forza, alza la schiena, alza le gambe, apri le spalle e respira più che puoi!

Da Courmayeur si piega sull’Alta Via numero 2. Tra colli e passaggi incredibili; tra scenari dalla bellezza a dir poco eccezionale e pendenze da brivido!

E si arriva nella zona di La Thuile, l’antica Ariolica, la “terra di mezzo” dell’eroe greco, il Graio semidio cui vennero qui dedicati altari leggendari. Il Piccolo San Bernardo, il colle di Giove dall’impenetrabile volto d’argento.

Il busto in argento di Giove Graio rinvenuto al Piccolo S. Bernardo (regione.vda)
Il busto in argento di Giove Graio rinvenuto al Piccolo S. Bernardo (regione.vda)

E da qui a Valgrisenche, altra strategica terra di scambi e passaggi. Quello scabro Col du Mont dal quale nei secoli son passati soldati, mercanti, artisti e partigiani. Valgrisenche, così selvaggia ed autentica, eppure insospettabile scrigno di fulgide cappelle barocche, piccoli camei di arte alpina. Lo splendore del sacro in una natura abbagliante dove persino il cielo si fa palpabile.

Valgrisenche capoluogo (comune.valgrisenche.ao.it)
Valgrisenche capoluogo (comune.valgrisenche.ao.it)

E si corre, si continua tra le rocce alla volta di Rhêmes-Notre-Dame dove, in una Natura dominante, già nei confini del Parco Nazionale del Gran Paradiso, a ben guardare si noterà una moltitudine di mulini, forni e chiesette spesso incastonati in villaggi da favola.

Rhemes-Notre-Dame (valdirhemes.net)
Rhemes-Notre-Dame (valdirhemes.net)

Ma non ci si può fermare! Col de l’Entrelor, Eaux Rousses, Col Loson attraversando, quasi a volo d’uccello, la selvaggia Valsavarenche. Profondi canaloni, boschi di larici, abeti rossi e pini cembri; tappeti di rododendri di incomparabile bellezza; anfiteatri rocciosi e alpeggi… null’altro se non i fischi delle marmotte, il grido dell’aquila e il silenzioso volteggiare dei gipeti.

Valsavarenche-la cappellina di Levionaz Dessous (M.G. Schiapparelli)
Valsavarenche-la cappellina di Levionaz Dessous (M.G. Schiapparelli)

E si raggiunge Cogne. Una meravigliosa perla che dei lunghi periodi di isolamento e dei frequenti contatti col Piemonte ha fatto ricchezza e peculiarità. Cogne è frutto di una magia: la magia dei lunghi inverni, la magia della neve che blocca ma preserva, bianca e severa custode delle genti e delle loro tradizioni.

Narra la leggenda che i primi abitanti di Cogne provenissero dalla Val Soana, nel vicino Piemonte. Una vallata il cui nome deriverebbe dal latino “soprana”: una valle alta, terra di pastori e transumanze, dunque, ma anche terra di miniere nonché di continui andirivieni e sovrapporsi di popoli. Quanti i legami con Cogne!

Un legame che si riallaccia nella misteriosa figura di San Besso, uno dei martiri della mitica legione tebea e che si intreccia nella figura di Sant’Orso (cui è intitolata la parrocchiale). E’ tradizione infatti che Orso, arcidiacono di Ploceano, il malvagio vescovo di Aosta, sfuggendo alla persecuzione degli Ariani, predicasse nella Valle Soana contro le eresie; ed in Campiglia (non a caso la località dove, si dice, venne martirizzato Besso) si trova un sito tuttora chiamato platea S. Ursi ( la piazzetta di fronte alla chiesa parrocchiale)… vedete voi…

Cogne-la facciata della chiesa parrocchiale di Sant'Orso
Cogne-la facciata della chiesa parrocchiale di Sant’Orso

Per non parlare, poi, della meraviglia archeologica situata ad una manciata di km da Cogne scendendo verso Aymavilles: il ponte-acquedotto del Pont d’Ael, risalente all’anno 3 a.C.! Un vero capolavoro di ingegneria idraulica romana voluto da un privato, peraltro ben inserito nella cerchia dell’imperatore Ottaviano Augusto: il padovano Caius Avillius Caimus. Costui investì “pecunia sua” per realizzare questa infrastruttura utile a convogliare le acque del Grand Eyvia da Chevril (dov’è stata riconosciuta l’opera di presa) fino alle cave di bel marmo grigio venato di Aymavilles, un materiale ampiamente utilizzato nella monumentalizzazione della colonia di Augusta Praetoria!

Ebbene, Caio Avillio Caimo era un  esponente di una ricchissima famiglia di origine veneta legata al settore dell’industria edile e al trattamento delle materie prime,
soprattutto dei materiali lapidei e dei metalli. Proprietari di numerose nonché decisamente attive figlinæ (fabbriche di laterizi) nella loro terra natìa, gli Avilli sono attestati come imprenditori edili anche nel Piemonte nord-occidentale, in particolare nelle valli di Lanzo e dell’Orco (e la Soana è proprio lì!). Altro interessante indizio storico dello stretto legame tra questi due versanti, non vi pare?

Il respiro del grande prato di Sant’Orso; la dolcezza della Valnontey; il fascino delle cascate di Lillaz; i complicati giochi dei tomboli e l’enigmatica figura del dottor César-Emmanuel Grappein, il più celebre cognein di tutti i tempi, vissuto a cavallo tra XVIII e XIX secolo.

Veduta di Cogne verso la Valnontey (ThinkNatureinCogne)
Veduta di Cogne verso la Valnontey (ThinkNatureinCogne)

Senza dimenticare naturalmente la lunga storia mineraria che per secoli ha segnato profondamente non solo il territorio, ma lo stesso tessuto sociale e la vita degli abitanti di Cogne.

Cogne-miniere (ecobnb)
Cogne-miniere (ecobnb)

E dal villaggio di Lillaz si attacca la grande traversata che, dal Rifugio Sogno, condurrà al Misérin, al Dondena e infine a Champorcher.

Terre alte, dall’aspetto poeticamente severo e dolce allo stesso tempo. Altipiani incastonati tra vette ricamate da lunghe lingue nevose e impreziositi da laghi trasparenti, spesso effimeri. Terre magiche dove da sempre l’uomo avverte il respiro divino. E non è un caso se attraversando gli spazi e i silenzi di questi luoghi, si incontri da vicino Lei, la Madonna, protettrice di chi sale (Assunta), protettrice di chi cammina e di chi si avvicina così tanto al cielo…

Il santuario mariano del Misèrin, a 2.583 metri di quota sulle rive dell’omonimo specchio d’acqua, ad esempio, è davvero un luogo speciale avvolto da un’atmosfera che attrae e rapisce. Un luogo magnetico dove, fatalmente, troviamo ancora traccia della leggendaria legione tebea i cui componenti (da San Besso a Sant’Ilario, da San Vittore a San Maurizio) hanno profondamente segnato la storia religiosa delle nostre vallate.

La leggenda vuole, infatti, che un militare romano cristiano di questa legione, sfuggito ad un massacro, si fosse rifugiato nell’alta valle di Champorcher portando con sè una statua della Madonna. Nel XVI Secolo, la statua fu rinvenuta sulle rive del lago da alcuni pastori e si decise che fosse quello un segno divino affinché venisse costruito un luogo di culto.

Santuario al lago Misérin
Santuario al lago Misérin

C’è un tratto, poi, in particolare: quello da Pontboset a Perloz. Terre dove la storia ha lasciato tracce ben visibili su cui anche i “giganti” del Tor sono obbligati a passare.

Pontboset, villaggio dei ponti: ben 6, sospesi sugli orridi e sui torrenti. Agganciati alle rocce levigate dai movimenti degli antichi ghiacciai. Ponti ricchi di poesia, testimoni di un’arte del costruire, che affonda le sue radici nelle secolari tradizioni delle genti di montagna: pietre, malta, tenace maestria. Ponti “romantici”, anche nel senso più ottocentesco e anglosassone del termine, che improvvisamente occhieggiano dal folto dei boschi di castagno. Ponti a schiena d’asino che, in piccolo, richiamano a modo loro il continuo “saliscendi” del Tor.

Pontboset-(foto-Enrico-Romanzi)
Pontboset-(foto-Enrico-Romanzi)

E arrivi giù, nel fondovalle, a Hône. Non puoi fermarti, ma lo sai, lo hai letto da qualche parte che lì c’è una chiesa incredibile: sotto di lei, sotto il pavimento, si nascondevano altre 4 chiese precedenti. Sì, è la Chiesa di San Giorgio; magari con calma ci ritorni, perché è davvero sorprendente!

Hone-la parrocchiale di San Giorgio durante gli scavi archeologici (G. Sartorio)
Hone-la parrocchiale di San Giorgio durante gli scavi archeologici (G. Sartorio)

Altro ponte storico e via, si passa la Dora, regina delle acque valdostane.

Ed eccoci in uno scrigno medievale: Bard. Uno dei borghi più belli d’Italia. Un’unica strada che ricalca la via romana delle Gallie e la Via Francigena. Un’unica strada che si insinua tra edifici fiabeschi, corti segrete, sottopassaggi, archi e sottarchi. Sempre sorvegliata dall’imponente e austero Forte sabaudo che, dall’alto della rocca, ricorda antichi presidi a guardia delle leggendarie Clausurae Augustanae, barriera inespugnabile di una Valle tra le rocce.

Bard-borgo e Forte (Artemagazine)
Bard-borgo e Forte (Artemagazine)

E poi di nuovo giù, verso Donnas, correndo sulla Storia, sui secoli che hanno disegnato questi luoghi, fino a che…eccola! Incredibile, quasi un miraggio: devi per forza passare sulla strada delle Gallie, calpestare pietre con oltre 2000 anni di storia, passare sotto un arco “risparmiato” nella roccia che sta lì da quando le legioni di Augusto decisero di domare la terra dei Salassi.

Donnas, il tratto più emozionante della strada romana delle Gallie
Donnas, il tratto più emozionante della strada romana delle Gallie

E tu corri, per forza, magari rallenti e riesci persino a voltarti. Che posto! Un “gate” temporale, sottolineato dall’enigmatica chiesetta di Sant’Orso che segna l’accesso al borgo di Donnas.

Donnas-la chiesetta di Sant'Orso fa capolino sulla strada romana (M.G.Schiapparelli)
Donnas-la chiesetta di Sant’Orso fa capolino sulla strada romana (M.G.Schiapparelli)

Continui la tua corsa: è davvero il Tor des Géants! Ma non solo per le vette, per i “4 4.000” cui si sfiorano i “piedi”, ma anche per questa imponenza storica, per questo passato così evidente, così “presente” che è impossibile da ignorare!

L’arrivo a Pont Saint Martin si celebra con un altro di questi “giganti”: lo splendido ponte romano che consente di superare il torrente Lys. Si erge poderoso dalle rocce umide; un inno ad una regione dall’indiscutibile identità itineraria: soldati, mercanti, pellegrini, imperatori, contrabbandieri, viaggiatori d’ogni genere…quanta gente nei secoli è passata di qui!

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Pont-Saint-Martin, ponte romano del I secolo a.C. (tordesgeants.it)