Oggi vorrei accompagnarvi alla scoperta del nucleo più antico di Entrèves, graziosa frazione di Courmayeur adagiata ai piedi di Sua Maestà il Monte Bianco. Come il suo stesso nome dichiara, il villaggio è incorniciato da due corsi d’acqua, quasi fossero due ninfe (sebbene a volte un pò troppo turbolente), da ovest la Dora di Veny e da nord la Dora di Ferret.
Nel cuore di Entrèves fa bella mostra di sè la trecentesca casaforte dei Passerin d’Entrèves, nobile famiglia valdostana. La dimora, oggetto di un capillare restauro nel 1913, si erge su tre piani scanditi da belle finestre con architravi a chiglia rovesciata, anch’esse per gran parte ricostruite nei primi del Novecento ma comunque fedeli agli originali del XIV-XV secolo.
CONTINUI PASSAGGI DI PROPRIETA’
“Domum fortem dicti domini patris sui sitam apud Entreyves fuisse de novo fondatam“.
Con queste parole Hugonetus de Curia filius Johannis dichiarava, in occasione della redditio castrorum del 1351 (cioè la consegna dell’edificio agli inviati del conte di Savoia), che la casaforte della sua famiglia risultava da poco costruita (si noti che utilizza proprio il verbo “fondare”) da parte di suo padre. Nel XV secolo, poi, in seguito a matrimoni con esponenti della famiglia dei Sarriod d’Introd, la dimora passò nei beni immobiliari di questi utlimi che, successivamente, nel corso del XVI secolo, vendettero la giurisdizione e i beni situati ad Entrèves alla ricca famiglia Favre. Quest’ultima risultava però estinta già nella prima metà del XVII secolo, periodo a partire dal quale la casaforte passò nelle proprietà dei baroni Roncas e, da costoro, poi ai Passerin che ne derivarono il predicato “d’Entrèves” e che ne sono ancora oggi i proprietari.
Sul lato opposto della strada, accanto ad un bell’ingresso ad arco composto da notevoli conci in calcare, si nota una targa che recita “les Ecuries du Château“, ossia le “scuderie del Castello” che, si presume, in passato si trovassero proprio in questo edificio.
Alle spalle della casaforte sorge la vecchia cappella del villaggio, comunque utilizzata ancora, intitolata a Santa Margherita.
Non se ne conosce l’anno esatto di fondazione, ma la cappella risulta menzionata in occasione di una visita pastorale del 19 luglio 1567. Molto semplice e sobria: una facciata a capanna con oculo al di sopra dell’unico ingresso; il tutto intonacato di bianco. A fianco lo snello campanile sormontato da una sottile cuspide a guglia.
Una caratteristica di Entrèves è di avere ancora visibili dei bei fienili e vecchie stalle, alcuni dei quali ben restaurati e trasformati in abitazioni, altri dall’indiscutibile valore documentario. Ci raccontano di una società un tempo prettamente contadina che, fino ad un passato non così remoto, coltivava i vasti prati dei dintorni a segale e orzo e falciava i fieni fino al Pavillon. Molti portoni di questi fienili presentano architravi datati (quasi sempre alla metà dell’Ottocento), oppure decorati da “tau” rovesciate o appiccate (la “tau” è un antico simbolo ebraico di appartenenza alla legge della Torah, poi ripreso e diffuso da San Francesco come emblema della croce), così come da più abituali croci latine e greche.
SEGNI DEL PASSATO
Raggiungendo la piccola piazzetta in fondo alla via dove gorgheggiava un lavatoio in pietra del 1876, oggi ahimé sostituito con una nuova e più anonima vasca, si possono apprezzare le antiche case attaccate le une alle altre quasi a mò di semicerchio; tutto il nucleo nei pressi della vecchia chiesetta rappresenta l’embrione originario dell’abitato, dove trovavano posto anche le vecchie scuole elementari e la latteria. Questo è anche il cuore pulsante dell’ormai noto mercatino dell’antiquariato di Santa Margherita che si snoda nel pittoresco centro di Entrèves durante la stagione estiva, normalmente di lunedì.
Salendo alla volta di via Col du Géant si notano altri caratteristici edifici del secolo scorso dotati di fienili con bei portoni d’ingresso, molti dei quali impreziositi da croci per richiamare la protezione divina sui raccolti e sui fieni custoditi un tempo al loro interno.
Addentrandosi nei meandri ombrosi dell’isolato vicino alla cappella si ha la fortuna di immergersi in un’atmosfera dal sapore antico, fatta di edifici in pietra, alcuni caratterizzati da balconi decorati con motivi diversi a seconda dell’uso cui erano destinate le stanze del piano. Un’atmosfera ovattata e defilata che fanno amare Entrèves da molti villeggianti e, soprattutto, dai suoi stessi abitanti.
Dimentichiamo per un attimo i rumori del traffico sulla statale e sull’autostrada; dimentichiamo i TIR, il continuo “via vai” al vicino Traforo del Monte Bianco; dimentichiamo la nuova fiammante stazione di partenza della Sky Way… pensiamo a quando in queste distese tra le due Dore si estendavano i prati ordinati e i campi da fieno, lasciamoci avvolgere dal bagliore glaciale della possente Brenva che si erge maestosa davanti ai nostri occhi, fiancheggiata dal profilo scuro e severo dell’Aiguille Noire de Peuterey, ricamata dalla teoria delle eleganti Dames Anglaises e coronata dall’Aiguille Blanche, dal Mont Blanc de Courmayeur e infine, da Lui, il Re Monte Bianco. Poco fuori dal villaggio incontreremo la nuova chiesa parrocchiale, sempre dedicata a Santa Margherita, consacrata il 31 luglio 1967.
SANTA MARGHERITA. IL PERCHE’ DI UNA DEVOZIONE
Entrèves ci offre l’occasione di conoscere un pò più da vicino questa santa così amata in Valle: Santa Margherita. Nella piccola regione dei “4 Quattromila” a lei sono dedicate ben 27 cappelle, 2 parrocchiali (Entrèves e Bionaz) e un santuario insieme a San Grato, quello sulle sponde del lago Rutor. Margherita viene invocata contro valanghe e slavine. E, in effetti, a ben guardare la quasi totalità delle cappelle a lei intitolate si trovano ai piedi di conoidi di scarico o di canali valanghivi. Si pensi ad esempio alla non distante cappella di Santa Margherita al Dailley di Morgex. Ma perché questo legame della giovane santa di Antiochia con frane, valanghe e, in altre parti d’Italia, con le alluvioni?
Ripercorriamone brevemente la vita. Margherita nasce nel 275 d.C. in Siria, nella città di Antiochia di Pisidia, da genitori pagani noti per la loro ricchezza. Margherita rimane assai presto orfana di madre e, quindi, viene affidata ad una balia che, segretamente cristiana, la educa alla sua fede e la prepara a ricevere il battesimo. Tutto, ovviamente, all’insaputa del padre col quale assolutamente la ragazza non andava d’accordo dal momento che non ne condivideva lo stile di vita eccessivamente sfarzoso. Rivelata al padre la sua vera fede, Margherita viene allontanata da casa e fece così ritorno dalla balia, in campagna.
E IL DRAGO SI FECE VALANGA
Venne un giorno notata da Oliario, governatore della provincia, che rimase colpito dalla sua bellezza e la chiamò al suo cospetto. Tentò di convincerla a sposarlo, ma tutto fu vano. Spazientito e infuriato, Oliario la fece incarcerare e flagellare. Secondo la tradizione, mentre era in carcere, le apparve il demonio sotto forma di un terribile drago che la inghiottì. Ma lei, armata di una croce, riuscì a squarciare il ventre del mostro e ad uscirne sana e salva. Da questo fantastico episodio nacque nella devozione popolare l’idea che la virtù di Margherita fosse proprio quella di difendere gli uomini dal male che in ogni momento poteva inghiottirli. Ma anche di aiutare le donne nel parto.
Margherita morì, decapitata, il 20 luglio del 290 d.C., all’età di appena 15 anni.
Ora forse è più chiaro il motivo di una così forte e profonda devozione da parte di chi trascorre la sua vita a contatto diretto con le montagne…
MARGHERITA E GRATO. UNITI CONTRO LE FORZE DELLA NATURA
Inoltre il suggestivo santuario ai piedi del ghiacciaio del Rutor, meta di splendide escursioni estive, vede Santa Margherita abbinata a San Grato. E questo non è un caso. San Grato, infatti, patrono della diocesi di Aosta, viene da sempre invocato per placare le forze della natura e per allontanare i flagelli dai campi e dal bestiame. In particolare San Grato viene pregato quando il disgelo rischia di far straripare laghi e torrenti, quando i forti temporali e le violenti piogge possono provocare danni al raccolto e alle persone, e quando la siccità spacca il terreno. San Grato, vescovo di origine greca, succedette alla guida della giovane diocesi aostana dopo la morte di Eustasio. La popolarità del suo culto risale al XII-XIII secolo quando le sue reliquie furono traslate dalla chiesa paleocristiana di San Lorenzo in cattedrale, dove sono tuttora.
Stando alla tradizione, il 27 marzo di un anno non meglio precisato venne introdotta la festa liturgica a ricordo di questa traslazione nella quale fu incluso un antichissimo rito poi denominato “Benedizione di San Grato“: si trattava della triplice benedizione della terra, dell’acqua e delle candele. Una forma di cerimonia chiaramente di matrice pagana che venne così cristianizzata. La città e l’intera diocesi lo festeggiano il 7 di settembre.
Insomma, le intitolazioni ai Santi non sono mai date a caso. E molte di queste nascondono antiche credenze, superstizioni, paure e speranze della gente di montagna. E’ bello poterle riscoprire. E’ un elemento di conoscenza in più che ci aiuta nella lettura e nell’interpretazione del paesaggio che ci circonda, laddove intendiamo “paesaggio” come l’unione di uomo e natura, di natura e cultura. Una cultura sedimentatasi nei millenni capace di scomparire e riapparire, di distorcersi, di trasformarsi, di mimetizzarsi.
Stella