Ma chi erano i Falisci?… “Altri Popoli”

 

E’ un dolce soffio di Ponentino quello che dal 19 dicembre scorso sta pervadendo il suggestivo sottosuolo del #MAR di #Aosta.

E’ quel sottile venticello che tradizionalmente spira sulle coste e sui colli laziali, quello che ci accompagna alla scoperta della terra dei #Falisci. Chi erano i Falisci? Un popolo di sicuro non così noto come potrebbero essere gli Etruschi o i Latini, certo, ma con i quali condivide diverse peculiarità. Un popolo che abitava sugli altipiani tufacei del Lazio centro-meridionale, in una zona strategica, al centro di importanti vie di comunicazione tanto terrestri (attraverso i Monti Cimini) quanto fluviali (lungo il corso del fiume Treja) e anche lacustri (falische erano infatti le sponde orientali del lago di Bracciano). Insomma, per capirci, un pò nella provincia di Roma e un pò in quella di Viterbo.

Dal 19 dicembre, appunto, i Falisci sono gli ospiti d’onore di una bella e suggestiva mostra allestita al Museo Archeologico Regionale di Aosta dal titolo “Alt(r)i Popoli. Falisci e Celti”. Altri o alti: questa la doppia lettura. “Altri”, certo, perché secondari, perché meno noti. “Alti”, anche: i Falisci stanziati sulle sommità dei colli laziali e i “nostri” Celti sui valichi d’alta quota a controllo delle vie di transito, degli scambi, dei contatti.

Ma partiamo col conoscere più da vicino questi “esotici” (almeno per noi Valdostani) Falisci.

Stretti tra Latini, Sabini, Etruschi e Umbri, i Falisci erano una sorta di “enclave” in un luogo ombelicale, itinerariamente molto appetibile per i transiti tra la costa tirrenica e la zona appenninica centrale. Le loro città rese famose dalla storia erano Falerii (che, dopo la distruzione da parte dei Romani divenne Falerii Veteres, oggi Civita Castellana) eFescennium (probabilmente l’attuale Narce); la mostra ricorda anche i centri minori diCorchiano e Vignanello dai quali provengono notevoli ritrovamenti funerari. In archeologia è quasi sempre grazie ai defunti che si possono conoscere i vivi. Quelle tombe, quei corredi… sono oggetti carichi di vita che ancora oggi possono raccontarci molto di chi li utilizzò, li possedette e li volle con sè nell’ultimo viaggio. E l’idea di scendere, appunto, nel sottosuolo del MAR, aiuta a calarsi nell’atmosfera della necropoli, del viaggio ultraterreno e sotterraneo che ti porta in una dimensione “altra”, quella dell’Ade, degli Inferi.

AMANTI DEL BUON BERE…IN ALLEGRIA

Eppure, sebbene in un contesto connotato principalmente dal rituale funerario, ritroviamo la vita. E i Falisci, come anche i versi fescennini insegnano, erano un popolo in questo assai simile ai loro vicini Etruschi: festaioli, allegri… simposiaci! Ossia, amanti dei banchetti e del bere insieme. E questo ci viene raccontato dagli oggetti esposti; perlopiù vasi utilizzati nei servizi da tavola, nella mescita e nella condivisione del vino. Vasi dai nomi greci (così si studiano in Archeologia) densi di poesia: kantharoi, oinochoai, olpai, kyathoi, kotylai… e qui mi fermo altrimenti rischio di annoiare. Ma non preoccupatevi, in mostra tutto questo viene puntualmente illustrato e spiegato! Sì, perché ognuno di questi vasi ha un nome proprio legato all’uso per cui serviva… Insomma, si fa presto a dire “brocca”, ma in antico non era così! Da sottolineare anche la presenza di holmoi, cioè di sostegni per olle con uno spazio alla base in cui veniva inserito un piccolo braciere: servivano a tenere caldo il vino, solitamente consumato non puro, ma miscelato a miele e spezie. Potremmo azzardarci ad immaginare una specie di “vin brûlé”!

Chissà se anche i “nostri” Salassi, popolo di matrice culturale celtica, avevano già all’epoca la passione per il buon vino come i Falisci.. difficile a dirsi, però nella vetrina a loro dedicata troviamo un curioso vaso panciuto a forma di trottola che, secondo molti studiosi, dovrebbe rappresentare una sorta di antenato del decanter attuale e quindi sarebbe collegabile alla conoscenza (e al consumo) del vino. “Decanter” analoghi della tarda Età de Ferro si ritrovano anche nell’Ossola piemontese, nel nord della Lombardia e in Ticino, nonché nel Vallese svizzero…quindi, saremmo portati ritenere che una certa ampia conoscenza del nettare di Dioniso avesse invaso le Alpi!

GIOIA DI VIVERE

Continuando la nostra visita e scoprendo altri corredi funerari, non possiamo non restare abbagliati dai gioielli. In particolare è la sepoltura di una donna di alto rango, nota come “Principessa di Narce” che ha attratto il mio interesse. Una profusione di gioielli! Sì, ma.. da tutto il Mediterraneo! Testine di scimmia in faïence di produzione fenicia, piccoliegypthiaca (animaletti di produzione egizia), perle di ambra del Baltico e vaghi di collana in pasta vitrea, armille in bronzo, spilloni, fibbie, un curioso pendaglio a forma di pettine (uno “status symbol” che indicava la proprietà di pecore da lana), orecchini pendenti e una divertente statuetta del dio Bes! Un dio fenicio-punico raffigurato come un nano deforme dal volto grottesco che doveva spaventare, appunto, il malocchio! E sempre della principessa un notevole cinturone in bronzo, un cimelio di famiglia. Oggetti insoliti, che di norma non si vedono alle nostre latitudini…

Ma di certo non posso descrivervi nel dettaglio l’intera mostra.. dovete andare a vederla!

ALTRI POPOLI A CONFRONTO

Potreste però chiedervi quale sia il legame tra Falisci e Celti. “Altri popoli”, dicevamo. Popoli meno protagonisti, non i Celti in generale, ma almeno le popolazioni di cultura celtica stabilite sull’arco alpino e progressivamente sottomesse da Roma i cui nomi ci sono stati trasmessi dalla famosa epigrafe del Trophée des Alpes di La Turbie (non lontano da Nizza)E tra questi anche i Salassi naturalmente. Salassi che conosciamo poco dalle fonti storiche (è soprattutto lo storico Strabone, vissuto in età augustea, a parlarne), ma di più grazie a quelle archeologiche. E sono sempre le tombe a ridare loro la vita. Emblematico il corredo femminile proveniente da unasepoltura dell’età del Ferro a Saint-Martin-de-Corléans dove spicca un torques, cioè uno di quei collier dei guerrieri (e delle loro compagne) in bronzo rigido aperto davanti. Splendide le armille, soprattutto quella in vetro blu cobalto.

Insomma, una mostra che è una vera e propria “finestra” su questi popoli minori che il destino ha fatto incontrare e scontrare con la potenza di Roma. Quanto ai Falisci, poi, si può tranquillamente dire che non hanno mai azzeccato un’alleanza… sempre dalla parte sbagliata finché Roma ha detto “basta!”. Ci furono due guerre e Roma ebbe la meglio in entrambe. A seguito dell’ultima guerra, Falerii fu distrutta, ricostruita in pianura e battezzata Falerii Novi. Dopo questi eventi Falerii appare raramente nella storia. Divenne una colonia (Junonia Faliscorum) forse sotto Augusto.

ARIA DI GRECIA

E la carrellata continua, in ordine cronologico (si comincia con un bel vaso globulare con raffigurazione di Pegaso datato alla fine dell’VIII secolo a.C. fino a corredi della metà del III a.C.). Le ultime vetrine falische ci raccontano dei sempre più intensi contatti con la Grecia e la Magna Grecia, in particolare con la colonia dorica di Taranto. Dalla ceramica di importazione fino a quella di più schietta produzione locale a imitazione di quella ellenica. Figure nere e figure rosse si rincorrono intrecciando miti, dei, menadi e giovani efebi danzanti.

E questo passaggio nell’Oltretomba non poteva che concludersi con un corredo femminile appartenuto ad una giovane donna; al centro della vetrina spicca un prezioso specchio in bronzo sul cui dorso è raffigurata una tartaruga. Già il nome stesso, derivante dal grecotartarhoukos (che significa “appartenete al Tartaro” cioè al mondo sotterraneo) ben si adatta al contesto in cui ci stiamo muovendo. Ma c’è di più. Quell’animale, secondo Plutarco, ben simboleggiava la moglie perfetta: la sua casa fa corpo con lei, essa non l’abbandona mai ed è sempre perfettamente silenziosa, anche nei suoi spostamenti. All’avvicinarsi del pericolo, si nasconde rientrando nella sua corazza, simbolo di prudenza e di costante protezione. Ma quella corazza era altresì associata alla Luna di cui ricordava la superficie. E la Luna da sempre rispecchia l’universo femminile, coi suoi ritmi, le sue fasi, i suoi cicli. Vedete, di nuovo è la morte che ci ridona la vita.

Assaporate dunque un viaggio nel tempo e nello spazio che vi farà scoprire altri orizzonti, altri linguaggi, altre culture il cui confronto con quelle a noi più vicine può forse aiutarci a capirle meglio e, perché no, forse anche a riscoprirne aspetti meno patinati.

Stella

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