#WorldSnakeDay. Serpente: il fascino che incanta e guarisce

L’altro ieri stavo sfogliando con aria distratta una rivista. Ad un certo punto mi attira una rubrica: “I Santi del mese”. Si parla di Santa Verdiana; accanto al testo c’è un’immagine: la santa fiorentina, in abiti monacali, con due vipere ai lati… un flash! Una donna, nella fattispecie una santa, in mezzo a due serpenti…

S.Verdiana,_Museo_di_Santa_Verdiana

La mia mente corre, si accende e torna indietro di anni, secoli, millenni. Mi ritrovo così nel mar Mediterraneo, su un’isola meravigliosa il cui nome antico e mitico suonava simile a Candia, oggi nota come Creta. Mi rivedo all’università col naso dentro il manuale di Archeologia minoico-micenea. Mi rivedo a Heraklion, davanti a quella vetrina del Museo Archeologico in una torrida giornata di luglio.

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Davanti a me sempre quell’immagine: una giovane donna con una coppia di serpenti; ma non si tratta più di una santa cristiana, no… è la Dea dei Serpenti!

Civiltà minoica (per noi Età del Bronzo). Un’isola con fitti e proficui scambi commerciali e culturali con le sponde mediterranee: dalla Grecia all’Anatolia; dal Libano all’Egitto. Quante contaminazioni. Quante reinterpretazioni. La Dea dei Serpenti ti incanta: è un’avvenente ammaliatrice dal seno nudo e florido strizzato in un corpetto stretto e colorato che le ricopre, a mò di bolerino, anche le spalle e le braccia fino ai gomiti. Una gonna immensa, lunga, ricca di balze colorate ed un decoro simile ad un grembiule stretto in vita. Le braccia protese in avanti, in un gesto dalla sacralità ancestrale, il gesto della dea Tanit che richiama su di sè l’energia della Luna. Tra le mani due serpenti che si muovono sinuosi, si dimenano. Volto truccato alla maniera egizia con gli occhi scuri ben delineati e allungati; lunghi capelli neri; un copricapo dal gusto anch’esso egittizzante sormontato da un animale, forse un gatto.

Una Dea simbolo di fertilità; i seni nudi proprio a questo rimandano, al suo potere di dare la vita e di nutrire. Il gatto sulla testa: simbolo mutuato dal vicino Egitto, animale sacro protettore nell’ Al di là. E quei serpenti tra le mani, tenuti con forza e decisione tanto che alcuni parlano di “virilità al femminile”. Già, il #serpente, protagonista di questo post dedicato al #worldSnakeDay.

Oggi a pensarci possono venire i brividi; quando ne incontriamo uno in natura ci spaventiamo a morte. Ma il serpente ha una lunga storia e importanti significati.

Capace di mettere in comunicazione il mondo dei vivi col mondo dei morti, il serpente appartiene contemporaneamente ad entrambi: si rifugia nell’umido ventre della terra, nel sottosuolo e negli anfratti oscuri; ma trova altresì dimora sui rami degli alberi, tra i grovigli di radici e cespugli, nell’acqua… La sua muta lo rende simbolo di rinascita, di rigenerazione, perché il fatto di “cambiare pelle” lo rende rappresentativo della guarigione, del cambiamento verso una nuova vita.

Il suo lungo e segreto letargo invernale lo assimila alla Madre Terra che nei mesi freddi si chiude in un sonno apparentemente senza fine per poi tornare alla vita. Un ciclo perenne di morte, rinascita e vita; di sonno e risveglio, di tenebra e luce.

Un simbolo positivo, quindi. E per queste sue virtù associato alla medicina, al potere di guarire gli altri. Non a caso lo ritroviamo avvolto in morbide spire lungo il bastone di Asclepio (dai Romani ribattezzato Esculapio), mitico figlio di Apollo dedito all’arte medica i cui santuari erano meta ambita e ricercata da chi desiderava un intervento salvifico e terapeutico. Santuari “ospedale”, possiamo dire così.

Asklepieion di Epidauro, Argolide (argolisculture.gr)
Asklepieion di Epidauro, Argolide (argolisculture.gr)

Gli esempi più mirabili li abbiamo ad Epidauro, ad Atene e a Kos. Ma non solo… ce n’erano in tutto il mondo antico mediterraneo. Pieni di fede ci si recava al tempio di Asclepio dove si sacrificava un animale sulla cui pelle si avrebbe trascorso la notte. Nei santuari c’erano intere ali riservate ai pazienti: tante camerette rivolte rigorosamente a sud. La guarigione arrivava di notte, nel sonno. Un sonno “guidato”, monitorato, dai “medici” sacerdotio forse dal dio stesso!

Tavoletta votiva con scena di "sonno incubatorio": la malata, distesa, è assistita dal dio Asclepio e da Igea, la sua paredra (thereef.it)
Tavoletta votiva con scena di “sonno incubatorio”: la malata, distesa, è assistita dal dio Asclepio e da Igea, la sua paredra (thereef.it)

Al risveglio il malato era assolutamente convinto che il dio Asclepio gli fosse apparso in sogno rivelandogli la causa del suo male e informandolo sul modo di guarire. Chi tornava a casa guarito lasciava la sua testimonianza incisa su un’epigrafe. Non è un caso che tra i decori maggiormente diffusi negli Asklepieia antichi vi fosse il fiore del papavero, simbolo del sonno più profondo, del sonno che guarisce… amico di Morfeo (non a caso!).

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Dettaglio del fiore di papavero al centro di un cassettone di soffitto

E sempre negli Asklepieia si allevavano serpenti! All’interno di una sorta di tholos (tempietto circolare) un dedalo ospitava i rettili amorosamente allevati dai sacerdoti del dio. Animale totemico sacro alla divinità e il cui veleno veniva utilizzato per ricavarne farmaci e antidoti. Se ci si pensa anche questo è emblematico: quello stesso morso che può dare la morte, ha la capacità di salvare la vita. Avete mai riflettuto sul simbolo delle farmacie? Ebbene, non è altro che il bastone di Asclepio su cui si avvolgono due serpenti!

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Statua stante del dio Asclepio presso il Museo dell’Asklepieion di Epidauro

E ritroviamo i serpenti sul capo della terribile Medusa. I serpenti, tanti e spaventosi, erano i suoi capelli. Ma chi era poi Medusa? Era una dea, splendida, forse addirittura la più bella. Essa i cicli del tempo come passato, presente e futuro e i cicli della natura come vita, morte rinascita. La sua bellezza si nutriva di complessità ed era colei che creava e distruggeva, alla continua ricerca di perfetti equilibri naturali. Dei tre mondi conosciuti (il cielo, la terra e gli inferi) Medusa era la mediatrice e il filtro. Medusa era la terra di mezzo tra il visibile e l’invisibile: un archetipo che testimonia il “passaggio”, l’ “evoluzione”.

Mosaico raffigurante Medusa dalla villa di Curtius Rufus ad Adrumetum-Sousse (II sec.d.C.)
Mosaico raffigurante Medusa dalla villa di Curtius Rufus ad Adrumetum-Sousse (II sec.d.C.)

Medusa: meravigliosa e superba sintesi di sapienza, intuito, coraggio e di tutte le doti femminili, fu la più venerata, almeno fino al 600 a.C., poi qualcosa cambiò. Poseidone, fratello di Zeus, irresistibilmente attratto da Medusa la violò, costringendola ad un rapporto sessuale sul pavimento del tempio di Atena. Quest’ultima, irritata dall’affronto, punì Medusa trasformandola in un mostro: il corpo si ricoprì di scaglie; i denti si allungarono come zanne di cinghiale; i capelli in serpenti; gli occhi di fuoco; la lingua penzolante. Atena, in più, diede al suo sguardo il potere di trasformare in pietra chiunque la guardasse negli occhi. Questa fu la peggiore condanna: quella di non poter guardare chi si ama. E che porta a non amare. Medusa divenne dunque una Gorgone (da gorgòs, spaventoso). Di nuovo il dualismo tra vita e morte.

Nel mondo romano è il santuario sull’Isola Tiberina, a Roma, a dominare la scena. Un’isola salvifica che mantiene la sua funzione ancora oggi visto che qui si trova il “Fatebenefratelli”. Un’isola a forma di nave, in mezzo al biondo Tevere. E la leggenda narra che questa forma le derivi dal mito secondo cui un grosso serpente saltò sulla nave romana per giungere sino qui: il serpente di Esculapio di cui ancora si vede una raffigurazione sul basamento in travertino.

Il rilievo raffigurante il dio Esculapio col bastone e il serpente sulla prua della nave che diede origine all'isola Tiberina (isolatiberina.it)
Il rilievo raffigurante il dio Esculapio col bastone e il serpente sulla prua della nave che diede origine all’isola Tiberina (isolatiberina.it)

Il legame tra serpenti, miracoli, guarigione e religione si protrae anche dopo l’avvento e il radicarsi del Cristianesimo. Oltre alla già citata Santa Verdiana, causa prima di questo mio post, mi viene in mente San Domenico a Cocullo, in Abruzzo, località nota per la Festa dei Serpentari. Si tratta di San Domenico di Sora, monaco dell’XI secolo, la cui festa intreccia elementi sacri a elementi profani: il rito inizia con i serpari che alla fine di marzo si recano fuori paese in cerca dei serpenti.

San Domenico di Sora durante la festa dei Serpari
San Domenico di Sora durante la festa dei Serpari

Una volta catturati, vengono custoditi con attenzione in scatole di legno per 15-20 giorni, e nutriti con topi vivi e uova sode. Secondo la tradizione locale, il santo cavandosi il dente e donandolo alla popolazione di Cocullo, fece scaturire in essa una fede che andò a soppiantare il culto pagano della dea Angizia, protettrice dai veleni, tra cui quello dei serpenti. Il dente di San Domenico, con probabile allusione al dente avvelenatore del serpente, diede, forse, l’idea che fece nascere la fede che portò alla festa in onore del santo. I serpenti sono dunque al centro di questo antico rito. I cosiddetti “ciaralli”, i serpari di Cocullo, sono gli eredi degli incantatori di rettili, di quelli che un tempo erano ritenuti immuni dai morsi e dal veleno dei serpenti. Nell’antica Roma erano i “marsus”, maghi capaci di ordinare agli animali striscianti di stare quieti.

E Santa Verdiana invece? Lei, ancora giovane, si fece rinchiudere in una minuscola cella il cui unico contatto col mondo era una finestrella. Si narra che una notte due vipere si insinuarono nella cella e non ne uscirono mai più; Santa Verdiana convisse coi due rettili senza scacciarli né provare ad ucciderli ma interpretandoli come una prova mandatale appositamente da Dio. E non ne fu mai morsa.

E chiudo con un ultimo pensiero a lei, Eva, la “prima donna”. Lei parla col serpente, non l’uomo. E il serpente, che li condurrà alla rovina, avvolge le sue spire all’albero della Vita, l’albero proibito perché racchiude il mistero di Dio. E’ quindi la donna colei che detiene un potere, l’unico, che l’avvicina al serpente: quello di dare la vita e mantenerne, così, il suo eterno ciclo e rinnovamento.

Chiudo infine riportando un pensiero scritto l’estate scorsa durante la mia lunga degenza dopo il terribile ictus post partum che per mesi mi ha lasciato paralizzata a metà… non serpenti (per fortuna!), ma lucertole, presenze fisse di lunghi pomeriggi di pensieri, meditazioni e sospiri guardando il sole, oltre la linea delle montagne…

Intorno alla clinica il sole fa uscire tante lucertoline; piccoli rettili, quasi draghetti in miniatura dalle origini preistoriche amanti del calore solare.
Nei millenni hanno saputo adattarsi, cambiare, per resistere e sopravvivere.
Nei secoli hanno saputo convivere con l’uomo che le osserva e le raffigura.
Nell’arte hanno trasmesso il loro legame col sole arrivando a simboleggiare la rinascita anche in considerazione della loro capacita’ di far ricrescere la coda in caso la perdessero.
Pensiamo alla lucertola raffigurata nel gruppo dell’ Apollo Sauroctonos di Prassitele (non mi ha mai convinto l’interpretazione che vorrebbe il giovane Apollo uccisore della bestiola). O a quelle che occhieggiano tra i girali dell’ Ara Pacis augustea.
Sembrano esseri inquietanti ma non e’ cosi!
Ecco: simboli positivi di rinascita e adattamento che con sangue freddo sanno rigenerarsi. Un po mi ci ritrovo…

 

Stella

 

 

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