Voglio raccontarvi una storia. Siamo a casa da oltre 1 mese ormai e, dalle finestre, vedo i resti dell’antica Torre d’Avise, corrispondente alla torre sud-occidentale dell’originale cinta romana. Abito in una posizione decisamente fortificata in effetti… dentro le mura con, verso nord, la Torre detta “del Lebbroso” (che, di questi tempi, è l’emblema stesso della reclusione); verso est la mole possente del castello di Bramafam e, infine, a sud-ovest, ciò che il tempo ha risparmiato (assai poco, purtroppo), della torre d’Avise.
Ecco, oggi protagonista del racconto sarà lui, il nobile Bonifacio d’Avise. Prode, battagliero, deciso. Storie di viaggi e battaglie. Ma anche, come un gioco di scatole cinesi, storie di contatti, scambi e committenze tra le Alpi e il Mare, dalla Valle d’Aosta alle tumultuose coste della Puglia passando dalla raffinata corte napoletana.
Una storia densa e coinvolgente che, lo vedrete, si adatta assai bene anche con la ricorrenza di oggi, Venerdì Santo. Ma non basta ancora: una vicenda che, ad un ulteriore livello, rende un particolare omaggio al Santo patrono d’Italia. Quindi, pronti?
Cominciamo dalla sua terra…
Una delle contrade più suggestive della Valle d’Aosta, incastonata tra prati e vigneti, scoscese pareti di roccia e inaspettati altipiani. Qui la valle viene rinserrata in una gola e la Dora si insinua in un solco stretto in una morsa di pietra. E’ questo un passaggio forzato; non c’è alternativa a meno che non si voglia allungare di molto il viaggio e salire, salire.. per poi scendere, sì.. ma chissà dove! La montagna è mutevole: le sue forre, i burroni, i boschi fittissimi impediscono di ragionare “in linea d’aria”.
Già gli antichi Romani avevano deciso che questo stretto passaggio doveva essere strategicamente controllato; infatti qui realizzarono, lottando strenuamente contro una natura ostile, uno dei tratti più affascinanti e aerei della Via delle Gallie: la Pierre Taillée. Il baratro sotto i piedi e la mole sovrana del Monte Bianco all’orizzonte.
Qui, dove paura e sublime si fondono, in epoca medievale sorse un piccolo regno.
E’ la terra dei nobili Signori d’Avise.
Un luogo che ancora oggi conserva la sua selvaggia bellezza. Un luogo che sa difendersi grazie alla natura stessa. Un luogo perfetto per controllare chi arrivava dall’alta Valgrisenche, dal Col du Mont (e quindi dalla transalpina Tarantasia), e voleva attraversare proprio in questo punto per salire verso Saint-Nicolas e da lì proseguire verso l’alta valle del Gran San Bernardo da dove continuare alla volta della Svizzera. Il tutto senza dover scendere fino ad Aosta.
E’ qui che sin dal XII secolo la potente famiglia d’Avise stabilisce il suo quartier generale. Una delle casate più antiche del Ducato di Savoia il cui stesso cognome racchiude e rivela la natura guerriera: una famiglia “di guardia”, appunto. Oltre a dominare questa significativa porzione di territorio tra il fondovalle centrale e la Valdigne, i d’Avise estendevano le loro proprietà su Arvier, Gignod, Quart, fino a Ayme-en-Tarentaise.
Il loro potere era rappresentato sul territorio da diversi castelli e caseforti. Ben due ad Avise cui si aggiungono Rochefort (dove oggi sorge il santuario che domina Leverogne e Arvier), Montmayeur, Planaval: una linea fortificata che risaliva l’aspra Valgrisenche con torri e punti di avvistamento distribuiti lungo l’asse di penetrazione di questa vallata irta di pericoli.
Questa la stirpe da cui nacque Bonifacio.
Cavaliere e signore d’Avise, nella prima metà del ‘400 sposò Alexie Malluquin grazie alla quale entrò in possesso dei beni che questa famiglia possedeva a Courmayeur e in tutta l’Alta Valle, nonché a Gignod e ad Etroubles. Vi dico questo affinché vi sia chiaro in quali porzioni di territorio lui esercitasse la sua autorità.
XV secolo, tempo di lotte contro i Turchi. Il Mediterraneo era in subbuglio e il Vaticano nutriva fondate preoccupazioni. Fu così che Papa Sisto IV decise di inviare una missiva “urbi et orbi” per chiamare a raccolta i nobili, i cavalieri, i soldati che volessero partire contro l’impero ottomano. Era circa il 1480; il prode Bonifacio d’Avise parte alla testa di ben 800 uomini d’arme reclutati nella sola Valle d’Aosta.
E’ grazie alla poderosa “Storia dei Papi” di Ludovico Von Pastor che possiamo ricostruire almeno le tappe fondamentali di questa missione sulle rotte del Sud. Bonifacio coi suoi si imbarcò a Genova dove proprio dal 1480 il cardinale legato Savelli stava predisponendo una flotta di 34 navi da guerra destinate alle “forze cristiane” dell’Italia nord-occidentale.
30 giugno 1481: l’armata fa il suo ingresso a Roma.
4 luglio 1481: unitasi alle altre navi pontificie fa vela per Napoli dove si unisce alla flotta di re Ferrante I, al secolo Ferdinando d’Aragona. L’intero contingente si diresse, quindi, alla volta di Otranto, tragicamente capitolata proprio nel 1480 sotto l’assedio, lungo e logorante, dei Turchi capitanati dal sultano Maometto II. Durante l’atroce battaglia di Otranto furono uccise e trucidate oltre 800 persone e venne raso al suolo il Monastero di San Nicola di Casole (a pochi km a sud di Otranto), dove era stata costituita la più vasta biblioteca d’Occidente allora conosciuta, oltre ad avere istituito la prima forma di “college” nella storia, che ospitava ragazzi provenienti da tutta Europa che si recavano a Otranto per studiare.
Ma la città, nonostante l’eccidio, era animata da una viscerale voglia di riscatto. In questo clima giunsero le flotte pontificie; tra queste anche quella su cui viaggiava il fiero signore d’Avise, Bonifacio, giunto sin qui dalla sua remota terra alpina.
Dall’11 agosto al 10 settembre 1481 si invertono i ruoli: stavolta sono le truppe cristiane a cingere Otranto d’assedio per poi riuscire a riconquistarla. I progetti del papa avevano previsto un prolungamento della crociata sull’altra sponda dell’Adriatico, a Valona, ma l’autunno ormai alle porte, le spese esorbitanti ed una terribile epidemia di peste scoppiata sulle navi, costrinsero la flotta a rientrare anzitempo. Ai primi di ottobre si era già a Civitavecchia.
Cosa vide Bonifacio in questi mesi? Chi conobbe? E cosa di questo viaggio, in termini di conoscenza oltre che di sofferenza e timore, si portò a casa, in Valle d’Aosta? Di certo questo itinerario tra Genova, Roma, Napoli e la Puglia avrà avuto inevitabili ed importanti implicazioni, non solo sotto l’aspetto socio-culturale, ma anche artistico. Orizzonti figurativi decisamente diversi dal panorama valdostano cui era abituato.
Ma perché queste riflessioni? Perché la chiesa parrocchiale di Sant’Ilario, a Gignod, racchiude affreschi davvero particolari, attribuiti ad un anonimo “Maestro di Gignod” che non sembra essere locale… anzi… si fa portatore di un linguaggio figurativo e di una luce che potremmo definire “baciati dal mare”. Ma quale mare? Un mare grande, dal respiro europeo: nel tocco e nelle scelte del Maestro di Gignod possiamo trovare echi fiamminghi (non dimentichiamo le frequentazioni artistiche fiamminghe alla corte di Napoli), voci provenzali, carezze partenopee. Quella luce soprattutto; così intensa… si insinua tra i volumi, sottolinea le pieghe dei panneggi, modella le forme e accende di iridescenze la preziosa stoffa rosata degli abiti della Maddalena e di San Sebastiano. Non è una luce alpina, né nordica. E’ la luce del sud.
Chissà se durante questo suo lungo viaggio, Bonifacio conobbe qualcuno che decise, non sappiamo perché, di seguirlo fin quassù. Un artista che poi diede prova di sé in quella chiesa parrocchiale che ancora oggi porta la firma d’Avise, dato che fu sempre Bonifacio a pagare il nuovo campanile e il restauro di tutto l’edificio, condotti magistralmente dal capomastro Yolli de Vuetto di Gressoney.
Quella magnifica e struggente “Pietà” in fondo alla navata di destra, unita al ciclo dei Profeti nei sottarchi, risale quindi a prima o a dopo il 1481? Difficile ad oggi poterlo dire. Ma il giro d’anni è quello. Anni in cui il signore di quei luoghi, Bonifacio d’Avise, rientra da una lunga e pericolosa missione e mette mano, forse con ardore ancora più grande, ai lavori di abbellimento della chiesa, con tutta la portata simbolica che quell’iniziativa portava con sé.
Chi era il “Maestro di Gignod”? Un indizio in più ci viene dal tipo di croci che lui dipinge: croci a “tau”, francescane. Non così frequenti nelle nostre vallate per l’epoca. E infatti San Francesco compare anche tra i Santi ai piedi della croce, vicino a San Sebastiano. Dall’altra parte la Maddalena ed un’altra santa oggi perduta (forse Sant’Agata).
La scena ha luogo su un prato verde chiaro, animato in primo piano da fiorellini e pianticelle, il cui accennato pendio sale in lontananza, verso un castello turrito, forse a voler inserire la scena in un paesaggio valdostano o comunque più famigliare. Incorniciata in una composizione dal rigoroso impianto piramidale, la tragicità del momento è ben rappresentata dal volto disperato di Maria: un dolore immane sebbene non privo di una potente maestà.
Va subito notato come la figura di San Francesco rivesta un’importanza notevole. Il santo infatti viene collocato immediatamente a destra della croce di Cristo e, come lui, reca le stigmate; regge inoltre nella mano destra una croce lignea analoga a quella di Gesù. Una stretta serie di corrispondenze che evidenziano Francesco come alter Christus. Possiamo supporre che un qualche esponente dell’ordine francescano abbia avuto un ruolo significativo nella realizzazione del ciclo di Gignod?
Sappiamo che il committente Bonifacio d’Avise aveva solidi contatti con l’Ordine di Aosta, tanto che proprio lui diede loro in concessione una sua proprietà a Vertosan dove fece costruire anche una cappella.
E subito il pensiero corre ad uno straordinario luogo sacro oggi perduto: San Francesco di Aosta, una splendida chiesa cancellata dal tempo e, ahimè, dall’uomo. Ma non dimenticata! Una chiesa il cui spirito potente ancora permane tra piazza Chanoux e piazza San Francesco. Lì, a pochi passi dalla Cattedrale di Aosta, un tempo sorgeva uno dei complesso conventuali francescani più grandi e prestigiosi dell’Occidente alpino. Chissà se questo misterioso “maestro di Gignod” potrà mai aiutarci a saperne qualcosa in più…
Frà Giocondo, frà Bartolomeo della Porta, il Beato Angelico… tutti attivi tra la fine del XIV e il XV secolo. Ma non sono certo i soli. Numerosi nella storia dell’arte i pittori divenuti monaci o monaci pittori.
Quante storie ancora da svelare si celano dietro all’ombra potente di Bonifacio d’Avise e nelle navate della chiesa di Gignod. Una chiesa che già nel santo cui è dedicata racchiude una sorta di “vocazione guerriera” a difesa della fede. Già, Sant’Ilario di Poitiers, vissuto nel IV secolo d.C., fu un pagano poi convertitosi che divenne un infaticabile oppositore della dottrina ariana che per ben due secoli, tra IV e VII secolo d.C., imperversò e dilagò tra Oriente e Occidente.
E proprio tra Occidente ed Oriente si mosse il prode Bonifacio d’Avise. Dai monti della valle d’Aosta fino alle sponde insanguinate di Otranto e ritorno. La battaglia della fede che lo condusse sulle rotte del Sud. Le stesse rotte dell’enigmatico “Maestro di Gignod”.
Mi riaffaccio alla finestra. Tra quelle mura diroccate incorniciate dal tenue viola delle serenelle e dall’ultimo giallo fulgore delle forsizie, un nobile spirito gioisce per essere stato ricordato.
La finestra di Bonifacio d’Avise.
Stella