Castello di Verrès. Il segreto delle miniere e la principessa dei nani

In un tempo lontano, quella valle dolce e verdeggiante era abitata da uomini felici ed operosi; era popolata di animali di ogni tipo e ricca di una natura florida e rigogliosa che dava fiori, legno, erbe e frutti in abbondanza.

In quel tempo lontano, però, quella valle ridente non era abitata solo da uomini e animali; le sue viscere nascoste erano attraversate da una miriade di cunicoli, labirinti e pertugi. Quell’intrico impenetrabile di gallerie sotterranee era il regno del piccolo popolo, era il regno dei Nani. Costoro, abili ed infaticabili minatori, conoscevano a memoria ogni gola, ogni anfratto, ogni vena di minerale del sottosuolo. I Nani erano i detentori di un’antica sapienza: coltivavano i minerali e li estraevano con notevole maestria. Ma non solo, vivendo nel ventre della Madre Terra, ne curavano con amore e dedizione la linfa vitale regolando, da lì sotto, i frutti delle diverse stagioni. Il popolo nano sin dalla più remota notte dei tempi, custodiva nelle profondità del suolo i semi dei frutti primordiali e, unitamente alla lavorazione dei metalli, si occupava delle trasformazioni e delle mutazioni della Natura. Il buon funzionamento del “mondo di sotto” si sarebbe infatti rispecchiato nell’armonia del “mondo di sopra”. E sì, perché là sotto, nel mondo buio delle miniere, i Nani erano soliti dire “Noi vediamo gli alberi non dalle chiome ma dalle radici, ed è da lì che traggono la vita!”.

I Nani insomma erano dei saggi maestri nell’individuare le materie prime, nel cavarle, nel selezionarle, nel trasformarle e.. nel metterle anche al servizio degli uomini, quando ciò veniva richiesto coi modi opportuni e col dovuto rispetto.

L’intesa tra Nani e uomini era così andata avanti in pace per secoli, fino a che…

Non giunse al potere un nuovo re, il malvagio Gotofredo. Giunto dalle vette del Tramonto, appoggiato da signorotti riottosi in cerca di facile guadagno e visibilità, Gotofredo era riuscito a ricevere in feudo la valle delle miniere di cui, ahimè, e non per caso, conosceva le infinite ricchezze.

Arrivato nel fondovalle fece immediatamente costruire un accampamento alla foce del torrente Fiordacqua e, adocchiata un’altura ben protetta, ordinò che vi si innalzasse una torre fortificata.

I Nani non misero molto tempo a capire che qualcosa era cambiato. La valle era percorsa giorno e notte da orde di soldatacci che approfittavano dei “sopralluoghi” per fare razzia nei villaggi, depredare, saccheggiare, distruggere e rapire fanciulle indifese. Quello era il triste biglietto da visita di re Gotofredo.

I Nani, popolo solitamente pacifico ma terribile se provocato, iniziarono ad attuare stratagemmi grazie alla loro perfetta conoscenza del territorio scatenando frane, deviando il corso dei torrenti, aprendo improvvise voragini che inghiottivano la soldataglia.

Gotofredo ne fu presto molto irritato e cercò di scovare i rifugi dei Nani inviando esploratori e mercenari nei boschi di notte. Ma tutto si rivelava inutile… Inoltre i Nani riuscivano regolarmente a bloccare o sabotare la costruzione della nuova torre fortificata perché quello, per loro, era da sempre un luogo strategico e sacro. Lassù, se lo volevano, potevano affacciarsi sul fondovalle. Lassù vi era la grande porta del regno sotterraneo, quella che consentiva l’accesso all’immensa sala del trono e ai depositi segreti, ma solo in pochi, anche tra gli stessi Nani, sapevano come e quando farla apparire per entrarvi.

Le cose purtroppo andavano sempre peggio. Re Gotofredo, accecato dall’odio verso i Nani, si vendicava sugli abitanti inermi della valle e, mosso dalla volontà di trovare e sterminarli, cercò alleati oltre le montagne, nella terra degli Agauni, di cui, si diceva, non sempre c’era da fidarsi!

Di fatto l’alleanza, supportata essenzialmente da reciproci interessi, non poggiava su solide basi e iniziò a vacillare sin da subito. Nella valle nessuno si fidava più di nessuno e la stessa Natura languiva, irrigata più dal sangue versato che dall’acqua. Nessuno coltivava né allevava gli animali. E i Nani si erano infine rinchiusi nei loro cunicoli negandosi agli uomini. Purtroppo il negarsi dei Nani, portava con sé il negarsi di Madre Natura e la valle presto mutò il suo aspetto diventando sempre più arida e brulla.

Re Gotofredo decise di scatenare una guerra totale anche contro gli Agauni e la valle si trasformò in un unico, triste e desolato campo di battaglia. Gotofredo aveva 5 figli maschi e i 4 più grandi, assai simili al terribile padre, erano impegnati in battaglia o in ambasciate finalizzate a tessere oscure trame politiche. Solo il più piccolo, Giovanni, era diverso.

Lui odiava le guerre. Certo sapeva usare la spada, ma solo se a fin di bene, non così per gratuita sete di potere e ricchezze. Era in conflitto continuo col padre che più volte aveva tentato di farlo rinchiudere in un monastero per toglierselo dai piedi. Ma la madre fortunatamente era sempre intervenuta facendosi forte della sua ricchissima dote con cui poteva tranquillamente ricattare l’avido marito.

Un pomeriggio, verso il tramonto, dopo l’ennesimo litigio col padre, esausto Giovanni si allontanò da casa in cerca di pace. Era molto preoccupato per l’inqualificabile condotta paterna, ma ancor più per le precarie condizioni di salute dell’amata madre. Se fosse morta, lui si sarebbe ritrovato solo, “in pasto agli squali”. Camminando camminando, ad un certo punto si rese conto che si era fatto buio e aveva perso l’orientamento. Dov’era? Vedeva le luci del villaggio in basso, nel fondovalle, ma ormai non era più in grado di scendere: aveva completamente smarrito il sentiero.

“Poco male”, pensò, “tanto laggiù a nessuno importa un bel niente di me! Speriamo solo che mamma non peggiori e che quel finto medico da strapazzo non le dia qualche strana medicina!. Vorrà dire che per questa notte mie compagne saranno la luna e le stelle- Il buio, almeno, copre l’orrore di questa valle”.

Giovanni si sdraiò sull’erba, chiuse gli occhi e si lasciò cullare da un dolce alito di vento. Ad un certo punto si accorse di un penetrante profumo di erbe aromatiche e fiori accompagnato da un fruscio sempre più vicino ed insistente.

“Chi va là? Chi c’è che si nasconde vigliaccamente nell’ombra?! Mostrati e combatti da uomo!”. Silenzio. Poi si vide come circondato da tante fiammelle color verde smeraldo che baluginavano, quasi giocavano intorno a lui.

“Oddio”, si disse, ” fuochi fatui! Questo luogo è infestato di spettri!!”. Tentò di fuggire ma il buio fitto gli impediva di muoversi nella giusta direzione e temeva che un solo passo falso lo avrebbe fatto precipitare nel vuoto.

All’improvviso le fiammelle si fermarono e si unirono a formare un’unica figura dal profilo umano. Dalla luce verde si staccò una ragazza: non molto alta, anzi, bassina. Era più piccola di lui, che già non era tra gli uomini più alti… ma…bellissima! Un vero incanto! Il viso soprattutto era splendido e vi brillavano due occhi azzurro-verdi dal taglio allungato, ipnotici!

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“Buonasera, giovane uomo”, gli disse con voce soave, “non avere paura. Sono Palasina, la figlia di Gorgoscuro, il re dei Mani di questa vallata e di Evanzia, la ninfa del torrente Fiordacqua che nella nostra lingua chiamiamo appunto Evanzio. Sono venuta perché ho sentito la tua sofferenza. Conosco il tormento del tuo animo e sento che potrei aiutarti. Tu sei molto diverso dalla maggior parte degli uomini che da alcuni mesi ormai percorrono questa terra, prima così florida e felice!”.

Giovanni era impietrito.Non gli usciva neppure mezza parola di bocca. Poi iniziò a raccogliere i pensieri e disse: ” Ti saluto Palasina. Ma, spiegami, come puoi… come hai fatto a… come mi hai trovato…Ci siamo per caso già incontrati?”

Palasina sorrise. “Oh Giovanni, voi uomini sapete così poco del piccolo mondo. Ma noi, Nani, ninfe, fate… noi siamo ovunque! Possiamo rimpicciolirci quanto vogliamo, anche mutare forma e aspetto se necessario. Inoltre noi sentiamo, percepiamo ogni vibrazione della Natura, ogni suo muto lamento e necessità. So che tu sei diverso. Solo tu puoi salvare questa valle!”.

Giovanni faticava a credere a quanto la ragazza gli stava dicendo. Temette si trattasse di stregoneria, di un ennesimo stratagemma di suo padre, di un inganno… Ma Palasina gli disse:” Giovanni, so cosa stai pensando e so come dimostrarti il contrario. Interverrò domattina. Ora ti accompagno fino al limitare del villaggio. Solo una cosa devi fare: stai sempre accanto a tua madre!”.

Dopo una notte insonne nella quale, tuttavia, credeva di aver sognato come mai gli era successo prima, Giovanni con le prime luci dell’alba si recò da sua madre e, tenendole forte le mani, si sedette accanto a lei. La madre, sfiancata dalla malattia, non riusciva nemmeno più a parlare, ma il suo sguardo gli diceva più di tanti lunghi discorsi.

Allo scoccare delle 12, la porta della stanza si aprì e comparve la cameriera di fiducia che disse: ” Messer Giovanni, è arrivata un’erborista del villaggio mandata dal parroco. Vuole vedere sua madre. La faccio entrare?”

Giovanni, stupito, acconsentì. Per fortuna suo padre non c’era! Entrò una donnina piccola ed esile, già in età avanzata, avvolta in un pesante mantello verdescuro tenuto allacciato da una fibbia in oro e ambra a forma di spirale. La donna alzò il viso e si abbassò il cappuccio. Nonostante l’età fosse molto diversa, Giovanni riconobbe subito quegli occhi verde-azzurri dal taglio affilato. E riconobbe la voce! Era lei: Palasina!

L’erborista si avvicinò a sua madre, le toccò la testa, il petto, i polsi, la pancia e le anche. Dopo lievi massaggi circolari che, a detta della madre, sprigionavano un insolito calore, spalmò sul bacino della donna un impiastro di erbe recitando alcune preghiere in una lingua sconosciuta. “Molto bene Messer Giovanni, ho finito. Stasera faccia bere a sua madre un infuso di malva e tiglio. Nel giro di due giorni starà meglio”. E l’anziana donna se ne andò.

Nessuno si ricordava di averla vista entrare né uscire; nemmeno la cameriera! Nessuno nel villaggio la conosceva, meno di tutti il parroco!Eppure…dopo due giorni la madre era guarita!

Re Gotofredo manifestò un’incredula, finta, felicità. Quella sera stessa Giovanni tornò sull’altura dove aveva conosciuto Palasina. Quando il buio fu fitto e la notte profonda, lei apparve. Non disse una sola parola, ma sorrise. Giovanni provò l’impulso di abbracciarla. Dopo un lungo indescrivibile bacio, Palasina lo prese per mano invitandolo a seguirla. “Ma devi chiudere gli occhi!”.

“Bene Giovanni, puoi riaprirli ora!”. Giovanni si ritrovò sulle sponde di un piccolo lago illuminato dalla luna che sembrava volentieri specchiarsi in quelle fredde e limpide acque appena increspate dal vento dei monti circostanti. Tutt’intorno pascoli e distese di fiori avvolti dalla luce argentea del plenilunio.

“Benvenuto nella mia dimora: questi piccoli laghi di montagna dove per fortuna non è ancora arrivata la follia di tuo padre. Benvenuto nel regno liquido di Palasina, principessa dei Nani, figlia di re Gorgoscuro.. che tra poco conoscerai! I laghi, per noi del piccolo mondo, sono vere e proprie porte, sono dei luoghi di passaggio e di comunicazione tra il mondo di sopra e il mondo di sotto. Ovviamente questi passaggi magici si aprono solo se noi lo vogliamo!”

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Improvvisamente nel centro del lago si formò un vortice da cui uscì un uomo. O meglio, un Nano! Basso, certo, ma molto muscoloso e dall’aspetto autoritario. Il viso squadrato avvolto da lunghi e folti capelli e barba biondo-rame. Re Gorgoscuro era arrivato! Sul mantello la stessa fibbia in oro e ambra a forma di spirale.

I tre parlarono tutta la notte, una notte che sembrò non finire mai! Re Gorgoscuro dimostrò di conoscere assai bene il cuore di Giovanni e manifestò grande preoccupazione per la sorte della vallata. Occorreva privare re Gotofredo del potere. Giovanni, però, non voleva che morisse: bisognava che si pentisse. Ma come?

Fu così che re Gorgoscuro trovò una soluzione. ” Tuo padre potrà riprendere i lavori della torre sulla rocca ma sarà chiamato a rispettare alcune regole che un vecchio architetto saggio gli elencherà. Staremo a vedere…”

L’indomani Giovanni si svegliò nel suo letto, come se nulla fosse successo. Accanto a lui, sul cuscino, la fibbia a spirale… Giovanni ebbe la certezza di non aver sognato! Allo scoccare delle dodici, l’araldo annunciò a re Gotofredo l’arrivo di un capomastro che voleva parlargli. Il re convocò anche i suoi figli, Giovanni compreso.

Ma certo! Quei capelli, quella barba, quella voce… Era re Gorgoscuro sotto mentite spoglie! ” Re Gotofredo, grazie per avermi ricevuto. Mi è giunta voce che desiderate da tempo erigere una torre fortificata sulla vetta rocciosa che domina il fondovalle, ma che diversi incidenti ve l’hanno finora impedito. Bene, se ascolterete i miei suggerimenti, riuscirete a realizzare il vostro progetto!”.

“Ah, dite vecchio? E quanto mi costeranno i vostri consigli?”. Già con questa prima reazione, accompagnata dalle risate sguaiate dei quattro figli maggiori, re Gotofredo aveva cominciato male, molto male!

” Per prima cosa voi e i vostri quattro valorosi figli maggiori dovrete recarvi sulla rocca portando con voi tutti gli attrezzi, i materiali e il necessario per creare le fondamenta. Sappiate però che per prima cosa dovrete prosciugare uno stagno drenandone le acque verso i campi senza sprecarle ed evitando che le rane che vi vivono muoiano.

“Coooosa?! Voi siete pazzo! Io non mi sporco le mani in questi lavori da servo! Dirò ad altri di farlo!”. Intervenne Giovanni:” Padre, visto che finora coi metodi tradizionali, non vi siete riuscito, perché non tentare?”.

Re Gotofredo non parve convinto e i figli grandi non avevano nessuna voglia di faticare… Tuttavia il giorno successivo si misero in marcia come indicato, ma vollero che anche Giovanni andasse con loro! Una volta sul posto il re e i quattro figli maggiori iniziarono ad impartire ordini a Giovanni che, in silenzio, cercava di fare tutto ricordandosi però delle indicazioni del vecchio capomastro.

“Scava! Scava!”, gli urlava il padre, ” sono sicuro che quassù c’è l’ingresso alle miniere dei Nani! Quel vecchio di ieri sera non mi ha persuaso! Secondo me qui sotto da qualche parte c’è l’oro di queimaledetti!”. I fratelli iniziarono a scavare alla rinfusa, mossi solo dal desiderio di trovare l’imbocco delle miniere. Giovanni tentò più volte di fermarli e farli ragionare, ma fu inutile. La sommità della rocca era stata violata e scavata in ,aniera selvaggia! -Ignorarono anche lo stagno che venne sfondato e riempito di terra; le rane fuggirono, molte vennero persino uccise per gioco! Giovanni iniziò ad urlare, a piangere, ma i fratelli lo aggredirono.

Improvvisamente al centro della rocca si aprì un buco che presto si riempi d’acqua. L’acqua continuava ad aumentare e inghiottì re Gotofredo e i quattro figli sciagurati. Tutto tremava. Madre Natura si stava ribellando! Giovanni, spaventato, aspettava la sua fine.

Ma quella specie di terremoto finì. Giovanni aprì gli occhi e vide che tutto era tornato come prima. Anche lo stagno era di nuovo al suo posto e cinque grossi rospi gracidavano rumorosamente! “Ecco Giovanni, ti presento tuo padre e i tuoi fratelli!”. Giovanni so voltò e incrociò il sorriso della dolce Palasina.

La guardò interrogativo. “Sì, Giovanni, amore mio, quei cinque rospi sono proprio loro. Hanno ignorato le indicazioni di mio padre, anzi, peggio: volevano sventrare la montagna! Non meritano nulla! Non moriranno, ma vivranno in eterno da rospi! Forse da animali capiranno meglio il valore e l’importanza della natura!”.

Giovanni riconobbe che Palasina aveva ragione. La abbracciò e le dichiarò il suo eterno amore, ma… Palasina piangeva; comparve re Gorgoscuro che disse: “Giovanni, cuore d’oro, tu avrai per sempre l’aiuto del mio popolo e di quello della mia sposa Evanzia. Ma con rammarico non posso permettere che mia figlia sposi un umano: ciò non è consentito dalla nostra legge! Lei potrà starti vicino, in varie forme e modi, ma non potrete più vedervi così né diventare marito e moglie! Ora sarai tu a guidare gli uomini della vallata e potrai risollevarli dalla miseria riportando pace e armonia. Io stesso ti aiuterò! Solo fino alla prossima luna nuova potrai stare con Palasina, poi lei cesserà di apparirti.”

La decisione di re Gorgoscuro era inappellabile e Palasina lo sapeva. Nei giorni che rimasero, i due giovani erano sempre insieme. Spesso si rifugiavano sui laghi lassù, in alto, incastonati tra i monti. Giovanni si dimostrò un sovrano giusto e magnanimo, la valle presto tornò a fiorire. E la torre sulla rocca?

Giovanni non volle mettervi mano; andava quasi ogni giorno a vedere i rospi per accertarsi che stessero bene, ma lasciò il compito al suo primogenito: Ibleto.

Fu lui a costruire per primo la grande torre fortificata sulla cime dell’altura rocciosa a strapiombo sul fondovalle. Al centro del cortile interno fece creare un magnifico pozzo sul cui fondo, pare, sarebbe rimasto lo stagno coi rospi. Visto dall’aslto del magnifico scalone ad archi rampanti, dà quasi l’impressione di un vortice, simile al rincorrersi delle gallerie sotterranee. Quella fortezza, sobria ma raffinata, rispecchiava la sua personalità e le ultime volontà di suo padre Giovanni.

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Ibleto ebbe sempre l’aiuto dei Nani e del popolo del fiume Evanzio. Ancora oggi nella valle i cantastorie narrano di quel giovane innamorato della principessa Palasina che, pare, gli diede comunque un figlio, il suo primogenito: Ibleto, che sin dalla nascita ha indossato una certa fibbia d’oro e d’ambra…

Si narra anche che, in certe notti di luna piena, affacciandosi sulla bocca del grande pozzo si oda gracidare e che, nelle stanze, si possa scorgere il profilo di una soave e splendida fanciulla, Palasina, la principessa dei Nani.

Protagonista di questo racconto è il castello di Verrès, ma non solo: protagonista è l’intera Valle di Ayas, con le sue leggende, le sue vette, i suoi laghi e, naturalmente, le sue miniere! Venite a scoprirla, in Valle d’Aosta!

 

Ringrazio anche stavolta l’amico Enrico Romanzi per la splendida immagine di copertina.

Stella

 

 

 

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