Quando il “ludus” diventa arte. L’antico quartiere degli spettacoli di Aosta (romana)

Continua la nostra scoperta dell’#Aosta romana. Una #AugustaPraetoriaSalassorum che ci affascina e ci emoziona ad ogni passo, ad ogni scorcio. Un avvicinamento graduale ma inesorabile, dall’antico ponte romano all’Arco di Augusto e lungo via Sant’Anselmo fino ad avvistare in lontananza un’arcata, anzi due, anzi tre! Marmi d’argento, ricami color avorio: è la straordinaria Porta Praetoria, lì dove ideologia e architettura, tecnica militare e fine urbanistica si armonizzano in un esito tanto avvolgente quanto inaspettato.

Ed è con gli occhi ancora pieni di questa monumentalità che svoltiamo in direzione del quartiere degli spettacoli fiancheggiando le mura, vecchie di oltre 2000 anni (e non è cosa così frequente; basti pensare che Aosta conserva ancora il 90% del circuito murario romano!), passando al loro interno, a ridosso dei potenti contrafforti e delle tracce del muro di controscarpa che, in origine, doveva contenere il terrapieno di rinforzo.

AMMALIANTE ORIGINALITA’

Quando finalmente la vista incontra quel muro di facciata alto 22 metri, magari quando la luce orientale del mattino gioca tra le finestre e i contrafforti sporgenti insinuandosi nelle rugosità dei blocchi di arenaria ed esaltandone le particolari tonalità dorate, allora lo spettacolo è garantito. Siamo al cospetto del prospetto sud dell’edificio teatrale. E’ vero, di norma quando si parla di teatro romano ci si aspetterebbe di imbattersi in un muro semicircolare, di vedere subito la cavea, ossia lo spazio gradonato destinato agli spettatori. Qui ad Aosta non è così. Ciò che si vede, e che nei secoli passati, prima degli interventi di epoca fascista, era quasi completamente mimetizzato tra le case che gli si erano ancorate addosso, è il “contenitore” della cavea. Sì, per usare una metafora, ad Aosta il teatro romano era “inscatolato”! La cavea si nasconde all’interno di un perimetro di mura monumentali di cui oggi resta solo la porzione meridionale a testimoniarne l’antica possente incombenza. Espediente analogo si può ritrovare nei teatri coevi di Augusta Taurinorum (Torino, fine I secolo a.C.-inizi I secolo d.C.)) e Lunae (Luni, I secolo a.C.) e nell’odeion di Pompei (realizzato nell’80 a.C.).

Ci avviciniamo quasi intimoriti da queste vestigia incredibili, direi quasi folgorati da un panorama del tutto inaspettato in questa cornice di vette alpine. All’orizzonte, verso nord, si erge la mole del Grand Combin, un “4000” già in terra elvetica ma che occhieggia curioso sulla nostra Valle. L’infilata delle mura romane con le antiche torri rimaneggiate dalle potenti famiglie medievali, sulla nostra destra; questo poderoso ed insolito edificio sulla sinistra. Un edificio che, visto da vicino, sembra fatto di sabbia, di infiniti granelli fossili, nonostante la sua innegabile solidità.

Ma dove siamo? La curiosità aumenta, così come la voglia di scoprire e capire sempre di più e meglio questa cittadina alpina dalla storia plurimillenaria.

IN SCENA!

Siamo dunque “a teatro”. Commedie (tante e molto apprezzate, basti pensare allo straordinario successo di Plauto!), tragedie (poche, meno amate, si pensi a Terenzio…), mimi, balletti, farse, ma anche esibizioni musicali e letture poetiche… sembra quasi di sentirne l’eco, di vedere gli artisti muoversi con talento sul palcoscenico o cambiarsi e truccarsi dietro le quinte. Sembra anche di vedere la cavea completa, alta fino alla base dei gruppi di tre finestrelle, in pietra nella parte bassa e mediana, in legno (probabilmente) per la cosiddetta “summa cavea“, dove i seggi erano molto stretti e i gradini assai ripidi, insomma, i posti meno ambiti ma non per questo meno frequentati… anzi! La voglia di andare a teatro nel mondo romano era tanta, era un vero e proprio appuntamento sociale, di riunione della comunità che così condivideva valori e ideologie.

Sì, il teatro era anche palcoscenico per l’intera società e soprattutto per la classe dominante. Oggi non ve ne è traccia, ma dobbiamo immaginarci una quinta in muratura (chiamata scenae frons), a ridosso del palcoscenico, alta tanto quanto la facciata ancora in piedi. 22 metri suddivisi su due livelli sapientemente movimentati da colonne più o meno aggettanti, da statue (scelte ad hoc), magari anche da raffinati altorilievi e vivacizzati dall’impiego di marmi colorati e preziosi. Non è affatto improbabile immaginarci, al centro di questo fondale scenografico, proprio la statua dell’imperatore Ottaviano Augusto, fondatore eponimo della colonia, deus et patronus.

Lungo i lati le arcate davano accesso a dei corridoi di ingresso attraverso cui si poteva entrare e prendere posto sui gradoni. Oggi il percorso di visita consente di passare su una passerella situata tra il palcoscenico e l’orchestra, in una posizione che ricalca quella dell’antico “aditus maximus“.

Il palcoscenico (proscaenium)si affacciava sull’orchestra e verso il pubblico con il pulpitum: una sequenza alternata di nicchie quadrangolari e semicircolari, anticamente impreziosite da colonnine e bassorilievi (oggi-ahimè-perduti) e nascondeva, al suo interno, i meccanismi utili all’alzata dal basso del sipario (aulaeum). Oggi possiamo soffermarci sull’uso dei laterizi e sulla difficoltà di conservarli in un clima quale il nostro attuale dove gli sbalzi di temperatura, le precipitazioni e il gelo/disgelo li frantumano anno dopo anno. In epoca romana, invece, il clima era più mite.. quel che si dice “optimum climaticum“!

Gli attori entravano in scena attraverso tre porte: quella centrale, più grande, detta “porta regia” e due laterali, secondarie, le porte “hospitales“. Purtroppo è difficile rendersene conto, certo se fossimo sollevati per un attimo in aria la vista dall’alto ci chiarirebbe molti dettagli.

PREZIOSE CURIOSITA’

L’orchestra, malgrado l’odierno aspetto grigio e uniforme, si presentava in origine pavimentata da lastre di ben tre marmi diversi: il giallo di Numidia, il porfido d’Egitto e il cipollino di Grecia. Oggi, ripeto, non ci è dato di vedere nulla dell’antico splendido tripudio cromatico, ma ne siamo a conoscenza grazie ai diari lasciati da Giorgio Rosi, l’archeologo che seguì gli scavi tra il 1933 ed il 1937. Scrive infatti il Rosi:” L’orchestra era pavimentata di marmi rari e di vari colori, connessi secondo un regolare scomparto geometrico […]”. E aggiunge: “[…] anche la bassa parete del pulpitum doveva essere interamente rivestita di marmi di vario colore: le superfici di cipollino bianco venato di verdastro, le modanature di africano rosso venato di bianco […]”.

Allora, immaginate: un esterno dai toni della sabbia, cangianti, a seconda della luce solare, tra il grigio perla e l’oro più caldo; un interno risplendente di colori, frutto di una committenza possidente e munifica, capace di far arrivare ai piedi delle Alpi tutta la ricercata preziosità di marmi lontani, colorati ed esotici.

Ma, a ben pensarci, Aosta è forse ancora oggi un pò così: un’apparenza severa, sobria, magari addirittura grigia, che però nasconde un’anima calda e colorata, ben visibile lungo le vie del centro storico, nelle vivaci facciate in tinte pastello e nelle vezzose decorazioni in stile liberty di certi palazzi storici di via Croce di Città, via De Tillier o via Sant’Anselmo. Per non parlare della meravigliosa ariosità e dell’eleganza neoclassica di piazza Chanoux.

Ma torniamo all’arredo scultoreo e all’apparato decorativo del teatro. Si diceva della composizione geometrica delle crustae (lastre) marmoree dell’orchestra. Un’ordinata tessitura a scacchiera composta da lastre quadrate alternate ad altre suddivise in quattro triangoli il cui disegno era assolutamente esaltato dall’uso di marmi differenti. Inoltre la decorazione architettonica doveva trovare completamento in gruppi statuari bronzei, come ci indica la bella porzione di volto maschile in bronzo dorato e di dimensioni maggiori del vero oggi visibile al #MAR di Aosta.

E IL TETTO?

Ma questo teatro così particolare, era coperto sì o no? Per lungo tempo si è ritenuto che lo fosse, proprio in virtù del perimetro di muratura che lo circonda. Tuttavia va sottolineato che la copertura avrebbe dovuto prevedere travature di quasi 40 metri di lunghezza e non è certo cosa da poco! Purtroppo non si possiedono notizie relative alle tecniche di messa in opera di simili solai, e di conseguenza molti dubbi rimangono. Basti pensare che il famoso odeion di Agrippa (di età augustea) realizzato nell’agorà di Atene, aveva un solaio ligneo ampio “solo” 25 metri che dopo un certo periodo crollò richiedendo la costruzione di un muro mediano per sostenere il tetto. Alcuni ipotizzano persino il ricorso a particolari (e pesantissime) coperture sospese ancorate a puntoni a  sbalzo, come dovrebbe essere stato il caso dell’odeion di Lugdunum (Lione) del II secolo d.C.

Sicuramente, invece, possiamo ipotizzare la presenza di una tettoia sporgente proprio al di sopra del palcoscenico (si pensi a quella esistente ad Orange) la cui funzione, oltre a quella di copertura tout court, era anche di tipo acustico andando ad amplificare le voci degli attori.

Un quartiere degli spettacoli, dicevamo, Infatti! Proprio a nord del teatro, oltre un muro in pietra che oggi lo divide dal giardino-frutteto del convento di Santa Caterina, si trovano i resti dell’altro grande edificio ludico di epoca romana: l’anfiteatro. Entrambi, quindi, costruiti vicini all’interno delle mura, a ridosso dell’angolo nord-orientale della città e facilmente raggiungibili dalla Porta Praetoria.

UN OCCHIO ALL’ANFITEATRO

Palatium rotundum“, “magnum palatium“: così viene indicato l’Anfiteatro nei documenti medievali locali, in epoche che ormai avevano dimenticato quale fosse la reale identità di quell’imponente edificio dal perimetro ellittico e che, probabilmente, solo in parte si lasciava intuire tra gli orti, i frutteti e le casupole che gli si erano gradualmente addossate sfruttandone le possenti murature. Tuttavia vi era una componente degli antichi edifici romani che, invece, era ben conosciuta e ben sfruttata: la zona nord-orientale della città, infatti, era nota con la denominazione di super crottas o crotes, cioè “al di sopra delle grotte”, o direttamente “grotte”.Gli abitanti del quartiere, chiaramente, erano consapevoli dello sviluppo sotterraneo di tutta una serie di ambienti e concamerazioni di cui ignoravano l’origine, ma che risultavano decisamente utili alle loro esigenze quotidiane come pratiche cantine. Diversa la situazione nel XVIII secolo, quando un nobile erudito come il De Tillier lo nomina  “colizée” (o anche “cirque ou soit amphiteatre“) dimostrando una solida consapevolezza storica ed un notevole bagaglio culturale umanistico. La denominazione specifica del grande Anfiteatro Flavio di Roma rappresentava ormai la definizione più adatta ad indicare anche l’esemplare aostano, ubicato nell’angolo nord-est della città murata e inserito così all’interno di una determinata tipologia architettonica di edifici per pubblici spettacoli.

QUANDO…

La data di costruzione, da sempre fissata all’epoca della fondazione della colonia (25 a.C.), tuttavia non parrebbe basarsi tanto su considerazioni legate alle particolari caratteristiche costruttive, architettoniche, dimensionali o decorative, quanto piuttosto sulla localizzazione intramuranea di questo importante edificio. Una datazione che va rivista e spostata in avanti, alla piena età giulio-claudia (come per il teatro), anche in seguito alla scoperta dei resti dell’ insula 8 precedenti l’anfiteatro ritrovati durante gli scavi nel cortile del complesso dei Balivi.

E DOVE…

La collocazione dentro le mura è sempre stata attribuita al fatto che la città sia stata in qualche modo progettata sin da subito come perfettamente dotata di una sua unitarietà ed omogeneità d’impianto in cui tutti i quadranti urbani possedevano già a priori una loro specifica destinazione d’uso completata dagli appositi edifici. La singolarità deriva dal fatto che la maggior parte degli anfiteatri ad oggi noti risultano costruiti fuori città, lungo le più frequentate arterie viarie, in modo da evitare che la folla richiamata dai grandi spettacoli gladiatorii si costipasse all’interno delle mura col rischio di provocare pericolosi disordini e turbamenti dell’ordine pubblico. Ora invece possiamo affermare che la posizione è frutto di una precisa volontà indipendente dal progetto di fondazione della colonia.

Il caso aostano, tuttavia, non rappresenta certamente un unicum, dal momento che altri sono gli anfiteatri situati all’interno della cortina muraria; a titolo esemplificativo potremmo solo citare alcuni casi italici tra cui Aquinum (Aquino, nel Lazio meridionale), Interamna Nahars (Terni, in Umbria) e Ferentium (Ferento, in provincia di Viterbo), soffermandoci maggiormente sui più noti anfiteatri di Pompei, Pæstum e Carsulæ (attuale Carsoli, in Umbria). In quest’ultimo caso notiamo come  l’anfiteatro vada ad inserirsi all’interno del centro monumentale dove, congiuntamente al vicino Teatro, contribuisce a creare un vero e proprio settore specializzato a poca distanza dal Foro e dai suoi abituali annessi religiosi.

Ad Aosta la porzione di terreno prescelta per la realizzazione dell’anfiteatro si presentava relativamente pianeggiante ma con una leggera pendenza da nord verso sud che nella torre angolare di nord-est (Torre dei Balivi) trovava il suo punto più elevato. Si dovette, pertanto, procedere allo scavo dell’arena centrale in modo da collocarla ad una maggior profondità, e alla conseguente realizzazione di idonee sostruzioni cave per i muri anulari e quelli radiali; la testata di questi ultimi formava una semplice corona in cui si inserivano i muri perimetrali del prospetto esterno che così risultava privo della galleria periferica d’accesso.

E’ questa una particolarità degli anfiteatri costruiti prima dell’età flavia, quindi prima degli anni 70/80 del I secolo d.C.; proprio tale assenza faceva sì che le facciate degli anfiteatri presentassero un paramento murario di spiccata monumentalità come, ad esempio, l’opus quadratum a grosse bugne. Un’osservazione valida senz’altro per il caso di Aosta dove anche il vicino Teatro presenta un analogo apparecchio murario che ancor di più sottolinea quella certa “aria di famiglia” tra i due edifici per pubblici spettacoli che, sebbene non appartenenti ad un medesimo cantiere (gli assi maggiori dei due edifici non sono perfettamente allineati e i materiali utilizzati non sono gli stessi), risultano comunque interpretabili come due tappe distinte, forse neanche troppo distanti nel tempo una dall’altra, di un progetto urbanistico comunque unitario seppure riferibile a due committenze diverse.

LUDI IN SALSA IBERICA

Ma non voglio dilungarmi oltre, altrimenti mi mandate a quel paese! Solo un’ultima info: se volete visitare un luogo dove poter ammirare un quartiere di spettacoli assai simile al nostro, completo anche dell’anfiteatro e dove il teatro è splendidamente conservato (oltretutto aiutandovi a meglio capire ed immaginare quello di Aosta), allora vi proporrei un bel viaggetto in Spagna, a #Merida, l’antica colonia augustea di Augusta Emerita, “gemellina” di Aosta in quanto anche lei fondata nel 25 a.C. e con la quale condivide anche l’orientamento astronomico (non a caso, visto che il fondatore è lo stesso!!) al #solstiziod’inverno! 

LUCI D’INVERNO

Un ottimo periodo, oltretutto, per venire anche ad #Aosta: sia per piazzarsi verso le 10,50 di mattina in Croce di città con gli occhi rivolti verso le montagne a sud aspettando di vedere il disco solare uscire nel cielo e invadere di luce l’antico Kardo Maximus per “toccare con mano” l’orientamento dell’antica città, sia per approfittare del periodo pre-natalizio e andare a visitare i nostri originalissimi mercatini di Natale! Perché “originalissimi”? Ma perché li trovate proprio nell’area del teatro romano! Un piccolo e grazioso villaggio alpino, grappoli di chalets sfavillanti di luci proprio a ridosso di uno dei monumenti romani più rappresentativi di Aosta, anche lui illuminato a festa! Beh, detto questo, non resta che darsi appuntamento a dicembre! Non mancate!

Stella

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