La mia viscerale passione per i Celti (nonostante Roma). Tra ricordi, studi e appunti

Ciao a tutti carissimi amici! E’ vero, sono stata un pò latitante..ma sapete, serve la giusta ispirazione! Serve l’intervento della Musa, quell’alito indescrivibile in cui si mescolano fantasia, contenuti e penna fluida!

Quando i ricordi riaffiorano

Ho accumulato parecchi spunti… ma oggi mi sento di rispolverare la mia passione per i Celti. Non so se ve l’ho mai detto, ma all’università ho seguito ben 2 corsi (e dico 2!!) di “Filologia e cultura celtica”! Una meraviglia.. quasi per caso mi sono ritrovata in mano alcuni appunti, datati (udite, udite) 1997 (fatalità proprio l’anno in cui vide la luce la prima edizione di “Celtica” qui in Valle d’Aosta!!).

I Celti, per me da sempre una passione quasi “segreta”, da sempre miscelata con l’altra, quella per il mondo romano. E infatti non è un caso se ho deciso di laurearmi in “Archeologia delle Province romane”; sì, perché il fascino più grande e pervasivo lo esercita, su di me, l’incontro, l’incrocio, il mescolarsi di culture, gli scambi… in tutte le loro forme: linguistiche, artistiche, architettoniche, religiose, letterarie.

E come quando si vede, nei più classici film in stile “Indiana Jones” che lui, l’archeologo con la frusta, passa una mano sulla secolare polvere di un reperto riportando in luce una scritta, un simbolo, una formula… ecco, così io nel ritrovare, per caso, quel quadernone con la copertina rosa, scritto fitto fitto. Ricordo quelle lezioni in Via Santa Maria, a Pisa, quasi in una mansarda: un’aula piccola… saremo stati, penso, meno di dieci! Stupende!

Falera in argento da Manerbio (BS) - III sec. a.C.
Falera in argento da Manerbio (BS) – III sec. a.C.

Vi fu un tempo…

I Celti sono l’etnia che nell’antichità ha occupato il territorio europeo (e non solo) più vasto perché popoli celtici sono stanziati dalle sponde dell’Atlantico alle pianure danubiane, passando per Spagna, Francia, Belgio, buona parte della Germania, l’Italia settentrionale e di qui, attraverso la penisola balcanica e la Tracia, fino all’Asia Minore. Vista la loro distribuzione massiccia e diffusa sul continente, possono essere considerati a pieno titolo il primo popolo “europeo”.

Inoltre le grandi letterature europee hanno tratto da quelle celtiche, più o meno profondamente rielaborandoli, alcuni dei più corposi e importanti cicli, temi, figure leggendarie e favolistiche che le caratterizzano e per rendersi conto di questo debito letterario e culturale nostro nei confronti dei  Celti basterà pensare a cosa sarebbe la cultura europea senza il ciclo bretone e la tavola Rotonda, Artù, Mago Merlino, Morgana, Lancillotto,Tristano, Isotta.

E poi ci sarebbero da ricordare quella particolare architettura di epoca imperiale e medievale diffusa in Francia e che viene detta gallo-romana proprio per sottolinearne la inconfondibile componente celtica; l’oreficeria celtica continentale e insulare; le tecniche e i motivi decorativi dei Celti antichi e medievali in cui molti studiosi di storia dell’arte rintracciano a ragione le fonti d’ispirazione per il Liberty. Infine, altro motivo di vanto “postumo” per i nostri Celti potrebbe a buon diritto essere rappresentato dalle periodiche e sempre più fitte riscoperte e revivals del celtismo, dai falsi ossianici di Macpherson fino a Tolkien (altra mia profonda passione!) e ,perché no, ad Asterix, senza dimenticare le “reintroduzioni”, quasi sempre inconsapevoli, di qualche tradizione come, ad esempio, quella di Halloween che altro non è che la cristianizzazione di Shamain, la festa d’inizio dell’anno celtico in cui avveniva l’incontro fra i due mondi, terreno e divino.

I Celti esistono ancora!

Tuttavia, nella storia dei Celti si registrano anche singolari rovesci di fortuna e non mi riferisco solo alle battaglie e alle guerre perdute (via via contro Romani, Anglo-Sassoni, e poi Inglesi e Francesi),  ma a qualcosa di ancor più insidioso per la sopravvivenza di un popolo: l’ignoranza diffusa sulla sua identità. Tanti, troppi, anche fra persone di buona cultura non sanno chi furono (e sono tuttora) davvero i Celti o hanno le idee molto confuse in proposito. C’è chi crede, ad esempio, che i Celti rappresentino un ramo – importante quanto si vuole ma pur sempre un ramo-, dei Germani o che celtiche siano solo le popolazioni antiche, quelle sconfitte o assimilate dai Romani: e sbagliano entrambi perché, da un lato, “celtico” è un concetto etno-linguistico autonomo e i contatti che ci sono stati con il mondo germanico sono avvenuti fra due etnie distinte, mentre, dall’altro, se è vero che non esistono più né Galli, né Celtiberi, né Galati, né Leponzi, sono celtiche anche tutte quelle comunità che in epoca medievale, moderna e contemporanea parlavano o addirittura parlano tuttora una lingua celtica come oggi nel Gaeltacht irlandese, nel Galles, in Scozia, in Bretagna e fino al secolo scorso e al XVIII rispettivamente nell’Isola di Man e in Cornovaglia.

 Si fa presto a dire “celtico”

Ed eccoli, i miei appunti di linguistica celtica… che emozione sfogliare quelle pagine! Innanzitutto il gallico, senz’altro quella più importante per diffusione (Gallia Transalpina e Cisalpina, parte della Germania e della Svizzera) e ampiezza di documentazione diretta (iscrizioni) che va dal III sec.a.C. al II-III (forse addirittura IV) d.C. e indiretta (toponimi, voci di sostrato nei dialetti gallo-romanzi). E poi il leponzio, parlato in Val d’Ossola, aree intorno alle due sponde del lago Maggiore e Canton Ticino come ci testimoniano poco meno di 200 iscrizioni (dal VII sec. al II a.C.) fin, la gran parte delle quali, purtroppo, assai brevi e in frammenti e costituite per lo più da nomi propri. E ancora  il galatico, la lingua di quei Galli che passarono nel III sec. a.C. in Asia Minore fondandovi il regno della Galazia (corrispondente in parte all’attuale Turchia) e che dovette sopravvivere a lungo prima di soccombere al greco visto che ancora S. Girolamo ci dice che ai suoi tempi era ancora parlato ma di cui conosciamo solo glosse in autori classici e nomi di persona.

E infine, il celtiberico di alcune centinaia di iscrizioni comprese in un arco cronologico dal
III al I sec. a.C. provenienti dal centro della Spagna. Tutte queste lingue, dette appunto lingue celtiche antiche o continentali furono, in momenti e con tempi diversi, comunque soppiantate in epoca imperiale dal latino (e, nel caso del galatico, anche dal greco).
Ma ci sono anche le lingue del cosiddetto celtico insulare, alcune delle quali ancora parlate nelle isole britanniche.L’irlandese, lo scozzese, il mannese, il gallese, il bretone…
"Ossian évoque les fantômes au son de la harpe sur les bords du Lora", dipinto di F. Gérard (fine XVIII-inizi XIX sec.)
“Ossian évoque les fantômes au son de la harpe sur les bords du Lora”, dipinto di F. Gérard (fine XVIII-inizi XIX sec.)
Ma qui mi fermo, perché altrimenti risulterei noiosa e “accademica”. Da qui riparto applicando la mia passione e le mie conoscenze alla mia terra. Alla terra “della Grande Orsa”, la Valle d’Aosta.

E comincio così, citando il leggendario bardo Ossian, anche noto come l'”Omero del Nord”:

“Oh sorgete, soffiate impetuosi,

venti d’autunno, su la negra vetta;

nembi, o nembi, affollatevi, crollate

l’annose querce; tu torrente, muggi

per la montagna, e tu passeggia, o Luna,

per torbid’ aere, e fuor tra nube  e nube

 mostra pallido raggio…”

La natura grandiosa dell’alta Val Veny di Courmayeur viene quasi ritratta dal canto ossianico: la “negra vetta” sembra infatti richiamare l’aguzzo profilo della scura Aiguille Noire e, al di là del riferimento all’autunno, spesso le serate estive ai piedi del Monte Bianco riservano temporali, vento e rincorrersi di nubi. Ma anche questo non fa che accrescere il fascino del luogo. Un luogo dove è quasi possibile percepire il divino. Il divino della Natura, da sempre venerata sin dalla più remota notte dei tempi e assiduamente celebrata dagli antichi Celti. Non è un caso, se ci pensiamo, che il nome stesso della vallata, Veny, deriva dal celtico Penn, il dio della montagna, venerato sulle alture e non solo in Valle d’Aosta, dove ha dato nome anche alla Valpelline e all’Alpis Poenina, ossia il Gran San Bernardo. Lo ritroviamo anche sugli Appennini e, per citare un altro esempio, in Val Venosta.

Montagne divine, potenza della natura.

L'Aiguille Noire du Peuterey in Val Veny. (da: www.jeromebiols.com)
L’Aiguille Noire du Peuterey in Val Veny. (da: http://www.jeromebiols.com)

VALLE D’AOSTA CELTICA

La piccola Valle d’Aosta si colloca quasi al centro di quell’ immenso territorio attraversato per secoli da tribù celtiche, guerrieri e mercanti. E i Celti possono essere rintracciati anche qui, nella terra della GrandeOrsa, così chiamata per il suo particolare profilo che parrebbe delineare proprio unorso, animale sacro e regale il cui culto affonda le sue radici sin nella più lontana Preistoria dell’uomo. E’ noto, infatti, che prima dell’arrivo dei Romani, la Valle era abitata dai Salassi, popolo nato dalla fusione tra antiche tribù liguri e nuove genti celtiche arrivate d’Oltralpe e dall’Europa centro-orientale. Un popolo citato dagli storici greci e latini, e presente anche sull’epigrafe del Trofeo delle Alpi di La Turbie (tra Mentone e Nizza): un monumento onorario voluto dall’imperatore Augusto per ricordare tutti i popoli alpini sconfitti. Un popolo che ha lasciato diverse testimonianze sul difficile territorio valdostano: si pensi ai villaggi in quota, come quello alle pendici del Mont Tantané in Valtournenche, o al castelliere di Lignan, posto su un’altura boscosa nei pressi dell’Osservatorio astronomico regionale. Ma si pensi, oggi più che mai, al tumulo funerario contenete le spoglie di quel “principe celtico” recentemente rinvenuto in occasione degli scavi per l’ampliamento dell’Ospedale “U. Parini” ad Aosta.

Si pensi agli splendidi torques (collane girocollo), alle raffinate armille (bracciali) in bronzo o in vetro, alle spille per abiti e ai recipienti ceramici ritrovati nei tanti corredi funerari salassi portati in luce anche tra queste montagne.

 

Stella

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