In quella fertile vallata solcata dal fiume e trapuntata di borghi, tutti vivevano felici e in prosperità.
Una felicità che, però, ad un certo punto infastidì il perfido Signore dei Ghiacci. L’eccessiva serenità degli uomini lo disturbava e alla fine si destò dal suo remoto eremo ghiacciato, in un luogo avvolto da miti e paure, lassù disperso tra le più alte vette dei monti, lassù dove mai nessuno aveva osato salire.
Il terribile Signore dei Ghiacci iniziò a scendere a valle, sempre di più, distruggendo gli alpeggi, i pascoli, le erbe ed i fiori; cristallizzando i boschi in un silenzio gelato ed impenetrabile. La sua lunga ed inesorabile discesa giunse fino nel fondovalle rivestendo i campi, i frutteti e le case di un freddo velo di ghiaccio.
Gli uomini, increduli e disorientati da quell’inverno improvviso ed inatteso, si videro costretti ben presto a vivere rinchiusi nelle loro dimore, accanto al fuoco. Dovettero interrompere il lavoro nei campi e gli armenti presto non ebbero più cibo e molti si ammalarono. Non appena qualcuno tentava di uscire e coltivare almeno un orto d’inverno con cavoli e porri, il freddo si faceva più pungente ed insopportabile.
Ma il Signore dei Ghiacci non era ancora soddisfatto e, prese le forme di un enorme drago bianco, si appollaiò su un promontorio di roccia allungato nel fiume, un passaggio cruciale del fondovalle, da dove avrebbe potuto controllare meglio i movimenti degli uomini.
Su quell’altura rocciosa egli si creò un antro, simile alla bocca di un vulcano, nel quale si ritirava durante il giorno per poi uscirne col favore delle tenebre.
Da quando la Bestia si era trasferita vicino ai borghi, ogni notte era sempre più scura; persino la luna e le stelle ne avevano paura.
L’enorme drago bianco, con un raccapricciante e sordo boato, scuoteva le viscere della terra e, dispiegando le sue immense ali d’argento si alzava in volo dalla sua rocca e volava sulla vallata sputando lame di ghiaccio e vortici di neve.
Molti prodi cavalieri e manipoli di uomini avevano tentato di ucciderlo, salendo fino alla sua tana per coglierlo in fallo. Ma, ahimé, nessuno di loro aveva mai più fatto ritorno.
Ad un certo momento, però, il drago annoiato si stufò di perseguitare gli uomini e decise di scendere negli abissi della montagna per dormire un po’, lasciando su di loro l’incantesimo della neve e del freddo eterno.
In quel periodo qualche viaggiatore aveva ricominciato a muoversi, seppur con estrema cautela. Ma nessuno, nessuno osava più salire su quella rocca rivestita di ghiaccio tanta era la paura che la bestia se ne accorgesse e si risvegliasse.
Finché una sera non capitò alla locanda del villaggio un personaggio strano, molto particolare. Arrivava d’Oltralpe ed era riuscito a transitare con una compagnia di mercanti di formaggi dal Col del Nivolet. Mentre si riscaldava mangiando una ciotola di zuppa fumante, non poté fare a meno di ascoltare i suoi vicini di tavolo. Parlavano concitatamente di un drago spaventoso, di decine di cavalieri e prodi guerrieri morti sbranati, di giovani fanciulle ingoiate e di centinaia di vacche e pecore inghiottite da questo mostro orribile ed invincibile.
Lo straniero prima di ritirarsi nella sua camera chiese maggiori informazioni all’oste che, impallidito di colpo, aveva persino paura di parlarne e si rifiutò di soddisfare le sue richieste.
Mentre saliva la scala, però, venne fermato da una ragazza, la figlia dell’oste. Bellissima, dai lunghi capelli neri e dal viso diafano in cui splendevano due grandi gemme scure e profonde, impreziosite da ciglia di velluto. La ragazza prese da parte il giovane e curioso ospite straniero e gli raccontò tutta la storia del drago di ghiaccio, impossibile da stanare e sconfiggere, e lo invitò ad andarsene appena possibile e lasciare quelle terre sventurate.
Lo straniero, che rispondeva al nome di Jacques, ascoltò con grande attenzione le parole della fanciulla, di cui peraltro credeva di essersi innamorato al primo istante e, una volta in camera, si affacciò alla finestra per studiare la zona. Da lì infatti poteva vedere quell’altura maledetta e il fiume sottostante. Il giorno dopo, con la luce, si aggirò nei dintorni e cercò di capire da che parte si poteva salire in cima col minor rischio di caduta e restando sottovento affinché la bestia non percepisse odori umani troppo vicini.
Nell’arco di 3 giorni elaborò un piano e andò per i villaggi a cercare alleati e complici. Certo non fu semplice, ma con la promessa di un cospicuo pagamento, riuscì a reperirne una decina.
Ma chi era questo Jacques? Era forse un misterioso cavaliere? Un principe? Un valoroso condottiero? O forse un mago?
Niente di tutto ciò! Jacques era… un capomastro! Sì, avete capito bene: era un abile muratore, anzi, molto di più, potremmo dire un architetto. Colto, intelligente ed astuto, Jacques illustrò alla sua squadra un progetto che lasciò tutti increduli e senza parole.
Durante il giorno riuscirono a salire sull’altura e ad erigere, tutt’intorno alla voragine ghiacciata, il basamento di una torre circolare. E già questo era un sorprendente elemento di novità perché nella vallata erano abituati a torri quadrate, di foggia diversa.
Jacques era rapido e preciso, e con notevole perizia riuscì a guidare i suoi uomini che, nell’arco di appena una settimana costruirono quella torre insolita avvalendosi di artifici e marchingegni che mai prima di allora avevano visto.
Nei villaggi intanto la notizia si era diffusa, rimbalzando di bocca in bocca sempre più ricca di dettagli impressionanti. Tutti credevano che Jacques, quello strano giovane dai capelli rossi, fosse completamente pazzo!
Solo lei, la figlia dell’oste, sapeva che quel piano avrebbe funzionato. Un piano frutto dell’ingegno e non della violenza non poteva fallire. Jacques sapeva che non gli sarebbe mai mancato il suo supporto.
Ed ecco giunse il momento di passare all’azione. Gli uomini, in piena notte, si recarono sul posto, accesero decine di grandi falò intorno alla bocca dell’abisso e vi gettarono dentro braci e torce.
La pioggia di fuoco e il calore improvviso, uniti all’assordante strepito degli uomini, risvegliarono il grande drago bianco. Un rumore sordo, profondo e minaccioso, salì dalle viscere della roccia e scosse la vallata.
Ad un certo punto un abbagliante chiarore argenteo si levò dalla voragine; una luce bianca e tagliente, accompagnata da vortici di neve e raffiche d’aria ghiacciata che risalivano nel volume cilindrico della torre. Gli uomini volevano fuggire, e qualcuno di fatto lo fece, ma Jacques disse loro di non muoversi e di osservare con attenzione.
Il drago infine si mosse. Il suo fiato gelido e le sue strida iniziarono a riempire l’aria. Ma non poteva sapere che il suo antro aveva l’accesso occupato da una torre. La belva era molto grossa e credette che, spingendo, l’avrebbe distrutta. Ma quella torre racchiudeva un segreto: mastro Jacques l’aveva concepita come una doppia elica e più il drago spingeva per salire, più l’artificio della torre a vite lo spingeva verso il basso.
La battaglia fu lunga; ci volle una notte intera prima che la bestia venne sconfitta e bloccata nelle più profonde cavità della montagna. Si narra che il suo possente dorso crestato continuò a spingere fino a che non si trasformò in roccia a contatto col calore del sole, tornato a splendere finalmente sulla valle, con forma simile a quella di mura merlate che dalla sommità si spingevano fin quasi a tuffarsi nel fiume.
Il drago di ghiaccio era stato sconfitto per sempre.
La festa nella vallata fu grande e si protrasse per giorni e notti. La natura era tornata a risplendere e dare frutti. Gli uomini erano di nuovo felici e avevano ripreso i loro lavori consueti.
Fu così che, una sera, Jacques e Maria, la figlia dell’oste, si dichiararono il loro reciproco amore e convolarono a nozze nell’antica chiesa del paese, “stranamente” mai toccata dal furore del drago.
L’impresa del giovane capomastro savoiardo ebbe immediata fama tanto al di qua che al di là delle Alpi. Jacques ricevette infine una chiamata molto importante: fu convocato addirittura dal re d’Inghilterra che gli commissionò numerose torri e castelli nella sua terra.
Jacques e la giovane sposa si trasferirono quindi in Gran Bretagna dove lui, noto come master James, inanellò un successo dietro l’altro,sia come valido architetto che come… dragon hunter!!
Allora, vi va di vedere da vicino la torre dove master James ha imprigionato il feroce drago d’argento? Sì?! E’ in Valle d’Aosta, a Villeneuve: è il castello di Châtelargent!
Ringrazio di cuore l’amico Enrico Romanzi che mi ha consentito di utilizzare uno dei suoi magnifici scatti come immagine di copertina.
Grazie a te Stella per riuscire sempre ad incantarmi con le tue parole!
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Ma grazie!!
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