Girali, fogliami e bestiari. Tra Medioevo e Rinascimento nel chiostro “segreto” della Cattedrale di Aosta

Esco oggi con questo mio contributo al bellissimo chiostro quattrocentesco della Cattedrale di Aosta perché, in qualche modo, proprio ieri (8 giugno) era il suo “compleanno”… o quasi! Eh sì, infatti fu proprio l’8 di giugno del 1442 che otto canonici della cattedrale stipulavano il contratto per la ricostruzione del chiostro capitolare con l’architetto savoiardo Pierre Berger di Chambéry. Inizio vero e proprio dei lavori previsto per marzo 1443.

Il rapporto di lavoro con il Berger non andò a buon fine, pare per lungaggini e spese eccessive, tanto che l’architetto transalpino sparì presto dalla circolazione. Si procede a rilento e, nel frattempo, cambiarono pure le maestranze. Ancora nel 1456 si sottolineava lo stato di degrado del vecchio chiostro romanico così come di altri edifici del complesso capitolare. Venne così ufficialmente istituita la Fabbriceria della Cattedrale.

Appena 4 anni più tardi, nel 1460, il chiostro era effettivamente terminato. Capo cantiere il “lathomus” Marcel Gérard di Saint Marcel.

Bene, dopo questo necessario avant-propos, entro subito in medias res. Due domeniche fa, complice una mostra sulla vita di Santa Teresa d’Avila allestita proprio nel chiostro, riesco a rientrarci e ad apprezzarne nuovamente la particolare luce e l’atmosfera raccolta. Quella porta nella navata nord, purtroppo sempre tragicamente chiusa, era aperta! Quella porta che consente l’accesso a questo vero e proprio gioiello quattrocentesco. Naturalmente non è il primo e l’unico! Prima di questo qui sorgeva un altro chiostro di epoca romanica, quello che si decise di sostituire a causa della sua imbarazzante vetustà e i cui materiali superstiti vennero reimpiegati nelle fondazioni dei “nuovi” muri perimetrali.

Una pianta rettangolare ma irregolare; uno spazio relativamente ridotto e assolutamente violentato dalla costruzione dell’ingombrante cappella neogotica del Rosario che lo ha radicalmente defunzionalizzato interrompendo il corridoio sud.

L’occhio immediatamente viene attratto dalla luminosità dell’insieme, dominato dall’argento dei pilastri e delle colonnine e dall’oro degli archi e dei capitelli. Sì, perché queste sono le sfumature cromatiche cui rimandano i materiali qui impiegati: l’argento del marmo bardiglio e l’oro dell’alabastro unito a quello, più caldo, del travertino. Poi, a guardare con più attenzione, ci si rende conto che sono almeno due le qualità di bardiglio utilizzate: una più ruvida e omogenea, l’altra con delle splendide venature madreperlate. In tanti aspetti si potrebbe riconoscere l’alternarsi dei due gruppi di maestranze: dalla scelta del marmo, fino allo stile dei capitelli e dei due portali d’accesso che collegano il chiostro alla navata nord della cattedrale.

Già, i capitelli. Appena entrati si viene accolti, sulla destra, da un “mostriciattolo”, una sorta di doppio diavoletto cornuto, naturalmente posto in angolo, quasi a voler controllare le due direzioni e a voler simboleggiare le scelte umane, spesso “diaboliche”, spesso ingannevoli…

Ci si potrebbe aspettare una serie di capitelli istoriati e figurati, un pò sulla scorta di quanto magari già visto a Sant’Orso. E invece no! Intanto non dimentichiamo che questo chiostro è del XV secolo! Sì, ma qui si assiste ad un ibrido affascinante… Niente di gotico innanzitutto! Una sequenza armonica di arcate a tutto sesto rimanda subito all’orizzonte classico romanico, a quelle teorie di arcatelle così frequenti sui sarcofagi… Linee nitide, geometricamente pulite, dall’aria famigliare e addirittura “mediterranea”, ravvisabile soprattutto nei decori a fogliame di molti capitelli. Non solo figure o animali insoliti, infatti, ma tanti elementi vegetali, dalla vite (coi suoi pampini ricchi di evangelico senso), al colto e raffinato girale d’acanto corinzieggiante. Per approdare, infine, ai numerosi capitelli recanti il nome dei canonici, così come dei maestri d’arte operanti in cantiere.

La lavorazione dei pilastrini binati delle arcate, poi, è davvero un capolavoro d’arte e maestria. Guardateli con attenzione: sono sfaccettati come fossero pietre preziose! E inoltre notate la straordinaria ricercatezza: il lato interno e quello esterno non sono lavorati alla stessa maniera: qui linee tondeggianti e poligonali si alternano, volumi cilindrici si contrappongono e si richiamano arrivando a comporre quasi un chiostro “double face” di eccezionale eleganza.

Possibili confronti? Certo, entrambi savoiardi: Il chiostro della cattedrale di Saint-Jean-de-Maurienne e quello (ahimé solo parzialmente conservatosi) del priorato del Bourget du Lac.

Un luogo assolutamente suggestivo in cui si fondono le eredità del medioevo alpino, le solide reminiscenze classiche e le influenze del primo Rinascimento. Questo chiostro va considerato come uno dei monumenti più significativi ed emblematici del tardo gotico delle Alpi occidentali, come già sottolineò Bruno Orlandoni (“Architettura in Valle d’Aosta. Il Quattrocento”, 1996).

Con tutti questi pensieri e queste riflessioni arrivo fino a dove mi è concesso, fino al portale orientale, quello col profilo modanato che, forse, si attribuisce a Marcel Gérard. Peccato non poter compiere l’intero percorso, da veri aspiranti “peripatetici”. Peccato questa cappella proprio nel mezzo! Mi fermo, mi siedo sotto un’arcata. Guardo, cerco di assaporare il gusto di ogni minimo dettaglio: i chiaroscuri della luce che rimbalza tra le arcate dei portici, le ombre dei rilievi che profilano i decori dei capitelli così come le venature cangianti dei materiali lapidei, il beige poroso e “romaneggiante” del calcare, la solida trasparenza dell’alabastro (che si dice cavato a Courmayeur, forse alle falde del Mont Chétif), l’eleganza imperitura del bardiglio (Aymavilles o Villeneuve?) e la lontana voce dei riempieghi…alcune lastre forse in origine appartenenti alla pavimentazione del foro romano, passate poi nel chiostro del XII secolo e poi…forse ero seduta proprio su una di quelle!

Trascorrere del tempo qui, in questo chiostro appartato e ricco di storia, è un’esperienza meditativa dal sapore insolito e mistico… peccato sia praticamente sempre (tristemente) chiuso… appena visibile attraverso la grata di un cancello.

Stella

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