Ricordo benissimo quella notte. Era pieno inverno, il vento soffiava a raffiche e portava con sè una strana sabbia di ghiaccio che rapidamente si depositava su ogni cosa accentuando l’ovattato silenzio delle ore del riposo. Il terziere di Sant’Orso dormiva nel buio; tutti rintanati nelle case per ripararsi dal gelo di quest’ultima lunghissima notte di gennaio. Un’atmosfera sospesa, una quiete quasi surreale dopo due giorni di mercato e di festa.
Il monastero era pronto per festeggiare all’indomani, 1 febbraio, il suo santo protettore: Orso.
A quell’epoca ero giovane, un adolescente; mio padre, potente nobile della Valle, mi aveva indirizzato sin da bambino alla carriera ecclesiastica. Ma ammetto di essere sempre stato una testa calda: spesso insorgevo, rifuggivo le ore del lavoro e talvolta arrivavo tardi sia a messa che allo scriptorium…per non parlare delle innumerevoli volte in cui avevo tentato la fuga! Dopo l’ennesimo rimprovero, il priore aveva deciso di punirmi obbligandomi a trascorrere queste gelide notti nella guardiola insieme ad un confratello più anziano. Erano gli anziani, infatti, solitamente ad occuparsi dell’eventuale accoglienza di mendicanti e pellegrini così come delle prime cure per i neonati abbandonati sul sagrato della chiesa. Questo perché noi novizi eravamo ritenuti più fragili e vulnerabili davanti alle insidie provenienti dal contatto precoce col mondo esterno.
D’accordo, però se quella notte non ci fossi stato io… fratello Deodatus si era addormentato durante il nostro Rosario e c’erano voluti un paio di scossoni per destarlo dal suo cantilenante russare. La campanella aveva già suonato 3 volte: evidentemente là fuori, oltre le mura del convento, qualcuno aveva bisogno di aiuto!
Fratello Deodatus corre alla porta. Lo spiffero di aria gelata arriva a lambire i miei polpacci. Sento un breve dialogo tra i due. Rientra in compagnia di un uomo molto alto, completamente coperto da un pesante mantello da viaggio. Il viandante era assai affaticato e lamentava un dolore insopportabile alla gamba destra; si appoggiava ad un bastone leggermente ricurvo che, in un certo senso, poteva quasi ricordare il lituo del vescovo. Poche parole ma mi sono bastate per notare un accento insolito; parlava latino correttamente, questo sì, ma il suo accento… mi era del tutto nuovo!
Lo accompagniamo vicino al focolare. Lo straniero si scopre la testa, si passa stancamente una mano sul viso indurito dal freddo. Poi mi guarda. Quegli occhi… quegli occhi non li dimenticherò mai. Due occhi lunghi e affilati di un colore indefinibile: o meglio, un azzurro ghiaccio che, a seconda di come la luce li colpiva, brillavano di strani riflessi color lavanda. Un paio di spesse sopracciglia rosse ne accentuavano l’espressione burbera ma buona allo stesso tempo. La fronte alta, ma non stempiato. Capelli fulvi leggermente lunghi gli ricadevano ai lati delle orecchie fino a sfiorargli il collo.
“Grazie miei cari fratelli! Non so come avrei fatto se non avessi trovato questo monastero. Sto compiendo un lungo viaggio di ritorno da Roma. Sono diretto a casa, al nord, molto… molto lontano da qui! La mia strada è ancora lunga e purtroppo la mia gamba duole moltissimo. Avrei necessità di riposare un po’ presso di voi… e che Dio nostro Signore vi benedica!”.
Io avrei voluto fargli decine di domande, ma fratello Deodatus mi fece cenno di zittirmi. Non era il momento. Il pellegrino aveva bisogno di dormire e rifocillarsi. Con calma l’indomani ci sarebbe stato tempo per le presentazioni dettagliate.
Il giorno seguente il priore convocò tutti nella sala capitolare subito dopo le preghiere del mattino. “Cari confratelli, con grande piacere vi presento il nostro ospite giunto ieri da Roma. Padre Ardagh, del prestigioso ed antico monastero di Clonard, nella verde terra di Hibernia, anche detta Scotia. Raffinatissimo miniaturista, padre Ardagh si fermerà da noi alcuni giorni in modo da rimettersi dalle fatiche sin qui accumulate. Quindi riprenderà il viaggio verso la sua casa madre. Oggi festeggerà con noi il nostro santo patrono Orso”.
Padre Ardagh mi stette subito simpatico. Avevo voglia di conoscerlo meglio e chiedergli tante cose…sulle sue origini, sulla sua terra, su Roma… Cercavo di stargli attaccato come un cagnolino. Veniva anche lui allo scriptorium; aveva voluto vedere la nostra biblioteca, sfogliare i volumi, analizzare i codici…
Io ero un discepolo; stavo imparando l’arte dell’amanuense, ma devo dire che mi è sempre piaciuto di più il disegno rispetto alla scrittura. E’ tuttavia pur vero che l’arte della miniatura aiuta la bella grafia, bisogna imparare a rendere i capolettera come dei piccoli capolavori artistici, come fossero dei camei figurati incastonati all’inizio del testo.
Ero appena un neofita, oltre che un novizio… ma volevo impegnarmi. Padre Ardagh si accorse di questa mia inclinazione e mi prese sotto la sua ala. Io temevo il giorno in cui la sua gamba sarebbe guarita consentendogli di rimettersi in cammino. Avevo addirittura pensato di chiedergli di portarmi con sé…anche se immaginavo con orrore l’ira di mio padre!
Padre Ardagh aveva un carisma fuori dal comune. In breve tempo era riuscito ad accattivarsi la simpatia, l’affetto, la stima di tutti i confratelli. Collaborava in tutte le attività del monastero, anche quelle nel giardino (dove un paio di volte l’ho trovato intento a dialogare persino con gli uccellini!). Mai si tirava indietro e per noi era diventato un esempio.
Sotto la sua guida ero nettamente migliorato; anche sotto l’aspetto della condotta! Il Priore era felicissimo di tutto questo e mio padre assolutamente orgoglioso! Mi ero appassionato allo studio, alla lettura e stavo piano piano impratichendomi con la miniatura.
Padre Ardagh mi aveva mostrato i suoi lavori: erano splendidi! Veri capolavori di arte insulare della sua terra “presa direttamente dal patrimonio figurativo dell’antica gente celtica“, mi ripeteva lui. Racemi intrecciati, fiori, foglie, gemme… un trionfo di motivi vegetali che creavano dei giochi ottici tanto da ricordare persino forme animali! Ma non solo… padre Ardagh aveva una mano fantastica anche nelle raffigurazioni di scene delle Scritture. Quei capolettera erano “letteralmente” cesellati! I volumi parevano istoriati, quasi delle piccole sculture!
I giorni trascorsero velocemente, anche troppo… Padre Ardagh doveva riprendere il suo viaggio. Ero triste, affranto, un senso di abbandono si stava impossessando di me! Per me lui era stato più padre di mio padre…
Prima di partire volle farmi un dono: ” tieni mio giovane Arnolfo, nobile come un’aquila e forte come un lupo, così come recita il tuo stesso nome di radice germanica. Ti lascio questo codice. Io vi ho scritto i testi e ho imbastito le miniature. Ma tu dovrai completarlo e rifinirlo in base agli insegnamenti che ti ho impartito. Quando sarà finito, in quello stesso giorno io tornerò da te qui ad Augusta“.
Misericordia! Quel codice era impressionante tanto era spesso e pesante! Mi ci sarebbe voluta tutta la vita per terminarlo… non avrei mai più rivisto Padre Ardagh, se non nella grazia di Dio.
Passarono giorni, settimane, mesi, anni, lustri. E le diverse missive inviate al convento di Clonard non avevano mai ricevuto risposta.
Il giovane Arnolfo divenne un uomo colto e raffinato, di solida dottrina e gran temperamento. Un uomo dotato di elevata intelligenza non priva di sensibilità, acuto ma giusto in politica, abile nella gestione degli affari del monastero, fine consigliere per i confratelli, illuminato teologo. Grande la sua passione per Sant’Agostino di cui leggeva e rileggeva, spiegava e rispiegava i passi salienti de “La Città di Dio”.
Nemmeno per un solo giorno aveva tralasciato il lavoro sul codice di padre Ardagh. Quello era un pò il suo momento privato. Pagina dopo pagina era riuscito a decifrare le scritture dell’amico e aveva quasi completato le illustrazioni. Si trattava di una sorta di “convento ideale”, di comunità di uomini legati dalla stessa fede e dagli stessi obiettivi.
La parte più difficile ed oscura era quella che stava affrontando ora: un intreccio enigmatico, quasi un rebus in cui disposizioni architettoniche, artistiche e letterarie si mescolavano nell’intento di delineare un luogo particolare. Sacre Scritture e antiche favole greche miste ad animali fantastici e leggende. Indicazioni topografiche, orientamenti, punti cardinali, percorsi, sensi di lettura.
“Riuscirò mai a dare un senso a tutto ciò?”, si chiese perplesso Arnolfo. Non sapeva che la soluzione non avrebbe tardato…
Stella