Alla fine capì. Sebbene non tutto il lavoro fosse ancora giunto a termine.
Nei capitoli che avevano richiesto maggiore impegno, padre Ardagh descriveva il suo chiostro ideale, un chiostro dove vivere, meditare, pregare, invocare la vittoria del Dio della Luce sulle tenebre. Il Sole della fede che combatte le ombre del male, lo stesso tema che Arnolfo chiese venisse rappresentato all’interno della chiesa in un grande ed emblematico mosaico al cui centro avrebbe dovuto troneggiare Sansone, il cui nome racchiude la parola ebraica “sole” e i cui lunghi capelli avrebbero simboleggiato i raggi, intento a lottare contro una fiera obbligandola a guardare verso l’alto, verso Dio.
Riga dopo riga, parola dopo parola, Arnolfo comprese: Ardagh aveva illustrato un vero e proprio programma didattico ed iconografico e lui decise che lo avrebbe concretizzato! Non sapeva quando, ma presto ne avrebbe avuto l’occasione…
Nel giro di pochi mesi Arnolfo venne nominato priore. Tra le sue prime iniziative vi fu il voler abbracciare e proporre ai suoi confratelli l’abbandono della vita secolare a favore della regola di Sant’Agostino. E anche questo obiettivo venne raggiunto, nel giubilo generale, nell’anno del Signore 1133 dall’Annunciazione alla Vergine (anno 1132 dalla Natività).
La comunità si ingrandì e perciò anche il convento necessitava di nuovi spazi tra cui, non a caso, un chiostro, il vero cuore dell’intero complesso ursino, uno spazio fondamentale per le necessità della vita claustrale. Si scelse il lato sud della chiesa, quello meglio esposto al sole; qui prima non c’era mai stato nulla, ma l’area era esigua e perciò fu necessario eliminare tre contrafforti della chiesa voluta precedentemente dal vescovo Anselmo. La forma sarebbe stata rettangolare, ma non perfettamente regolare in quanto si rivelava necessario assecondare alcune preesistenze che andavano legate al nuovo chiostro, tra cui anche la biblioteca e lo scriptorium. Al centro ci sarebbe stato un pozzo, l’acqua, simbolo di purezza, di vita, di rigenerazione. Ogni elemento, ogni particolarità, ogni dettaglio descritto nell’oscuro testo di padre Ardagh doveva essere riprodotto.
Arnolfo chiamò i migliori maestri lapicidi di Provenza e Lombardia, addirittura un noto magister iberico, tale Petrus, che si misero immediatamente all’opera. Il nuovo priore volle seguire personalmente la scelta dei marmi che richiese fossero di varie tessiture e sfumature, così come di diverse forme dovevano essere i capitelli. Tutto doveva rispecchiare l’armonia e l’equilibrio. Le scene raffigurate avrebbero dovuto richiamarsi, specularmente, simili nel messaggio seppur diverse nei personaggi, sui lati nord e sud, entrambi da fruire procedendo da est verso ovest, ab solis ortu usque ad occasum, seguendo il naturale ritmo del sole con direzione antioraria, quindi in armonia col moto sempiterno delle sfere celesti, allo stesso modo in cui gli antichi Romani fondavano le città.
La galleria nord
Arnolfo stabilì che si cominciasse dal lato nord, quello attaccato alla chiesa e meglio illuminato dal sole. Quello in cui dovevano prevalere le figure sulle epigrafi. Il lato settentrionale avrebbe raccontato per immagini l’origine dell’uomo e il peccato originale, la rinuncia al paganesimo e l’avvento del Salvatore con scene dell’Annunciazione, dell’Incarnazione e della Santa Natività fino all’annuncio ai pastori e ai Magi d’Oriente per poi approdare al tragico episodio della strage voluta da Erode. Il racconto sarebbe continuato con la fuga in Egitto, posta in corrispondenza del varco verso l’area centrale. Si sarebbe quindi proseguito col martirio di Stefano, primo testimone della vera fede ucciso a colpi di pietre, di cui il convento custodiva anche due sacre reliquie.
La raffigurazione avrebbe inoltre previsto una scena di quotidianità monastica dominata da una grande ruota di pozzo: il mandatum, ossia la lavanda dei piedi che veniva praticata il sabato pomeriggio a voler ricordare lo spirito di umiltà e di servizio. Era infatti questo un rito cui Arnolfo teneva moltissimo e che veniva regolarmente eseguito.

Non sarebbe inoltre dovuto mancare un capitello dedicato alla nota favola della volpe con la cicogna, emblematica per insegnare che “chi la fa, l’aspetti”. Un primo velato riferimento ad un annoso dissidio con i confratelli del Capitolo della Cattedrale. Chissà come aveva fatto padre Ardagh ad individuare la favola più adatta… mah… quell’uomo era ammantato da un alone di mistero difficile da definire. Quegli occhi sapevano vedere sempre oltre, in dimensioni che le umane facoltà spesso trascuravano o addirittura ignoravano. Un grande uomo.
E neppure dovevano mancare capitelli occupati da specie vegetali, frutti o animali di fantasia, solo in apparenza meramente figurativi ed esornativi, ma in realtà densi di significati tutti da scoprire. Occorrerà saper guardare oltre le apparenze perché i fiori e i frutti scelti non sono casuali. Arnolfo, ad esempio, aveva in mente il fico: se produce solo foglie senza frutti, per quanto siano queste belle e grandi, allora è un fico cattivo e bisogna guardarsene!
Giunti all’estremità ovest Arnolfo avrebbe voluto un capitello dedicato ad esseri per metà uomini (sia imberbi che barbati) e per metà aquile: un invito ai suoi monaci a comportarsi come le aquile, ossia a saper guardare verso il cielo, verso Dio, grazie allo studio e alla preghiera.
Ma c’era un “problema”, o meglio una sorta di inspiegabile assenza. Nel codice non era stata considerata la decorazione destinata al grande pilastro dell’angolo nord-est. Arnolfo aveva capito che l’ingresso al chiostro avrebbe dovuto effettuarsi da quel punto, sempre in armonia col moto celeste e solare, ma si chiedeva come mai padre Ardagh non avesse dato indicazioni sul tema da raffigurare in un punto così significativo ed importante. Eppure non vi erano lacune nel testo. Lo aveva letto e riletto con estrema attenzione. Forse una dimenticanza? Davvero strano! Forse un addendum alla fine del codice? E perché mai? Ad ogni modo i lavori dovevano iniziare. Arnolfo condivise le tematiche coi maestri lapicidi e con le maestranze tralasciando temporaneamente la questione del pilastro angolare. Che lo tenessero grezzo per il momento, ci sarebbero tornati in seguito.

Il cantiere prese vita. Un formicolio di operai, manovali, mastri carpentieri per le capriate di copertura, scultori, scalpellini, marmisti… era tutto un “via vai”. Arnolfo era decisamente soddisfatto. Di notte, anziché riposare, continuava nel suo lavoro di decodifica e decorazione miniata del codice di Ardagh.
Alcune notti dopo, durante questo appassionante ma sfiancante lavoro, Arnolfo si accorse di aver terminato un colore importante, il blu, quello ottenuto dalla preziosa polvere dei lapislazzuli e che veniva usato in gran quantità per il manto della Vergine e per la sopravveste del Cristo, simbolo di nobiltà spirituale e trascendenza. Arnolfo decise di trasferirsi nello scriptorium dove erano conservate le scorte di pigmenti utili ai miniaturisti. Lavorò con estrema concentrazione per tutta la notte. Non andò nemmeno a riposare, ma dallo scriptorium si portò direttamente in chiesa per le prime preghiere dell’alba.
Assediato dai diversi magistri e preso dalle incombenze che il suo ruolo gli imponeva, Arnolfo non si accorse nemmeno del tempo che passava fino a che…
“Accorrete! Accorrete! Aiuto! Al fuoco, al fuoco!!! Lo scriptorium!!! Presto, sta bruciando tutto!!”…

Stella