Un saluto alla fata di Ozein, tra cavità rocciose e acque scroscianti

Metti un gita domenicale in famiglia. Metti che hai voglia di un posto tranquillo, non troppo frequentato ma non distante. Ma sì, andiamo a Ozein!

E così ci si mette in viaggio alla volta di Aymavilles e da lì si sale in direzione Cogne. Superata la deviazione del mio amato Pont d’Ael, ecco la svolta a gomito sulla sinistra per raggiungere questo grazioso e defilato villaggio.

Ma lungo la strada che sale regalando scorci di splendide balconate sul fondovalle sottostante punteggiato di meleti e vigneti su cui dominano i due magnifici castelli di Saint-Pierre, qualcosa ti induce a fermarti. Ad un certo punto una piazzola sulla destra, uno slargo che si insinua timidamente verso un lembo di prato. Ma c’è dell’altro.

Davanti agli occhi una parete rocciosa incombente, tormentata di cavità più o meno grandi, lavorate da antichi movimenti glaciali, sagomate dal vento che vi si annida e vi si rotola, accarezzate dalle piogge e levigate dalle gelate invernali. Ma c’è dell’altro.

Qui domina il silenzio, ma è un silenzio strano, che ti assale, ti avvolge, ti fa quasi il solletico, ti fa venire i brividi. Qui certo fa freddo, più freddo che altrove, c’è ombra e proprio vicino a noi scroscia cantando una cascatella. Ecco, l’acqua. Presenza discreta ma invadente, totalizzante. Un’acqua che sembra nascere dalla roccia, lassù in alto, per poi lasciarsi cadere verso questo prato scosceso e nascondersi di nuovo nelle viscere della terra. Ma c’è dell’altro.

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Questa parete rocciosa è letteralmente invasa da piccole Madonnine. Sono dappertutto: appoggiate come su scaffali o davanzali naturali, infilate nei pertugi più impensabili, aggrappate a sporgenze o persino appese. Dal basso, livello suolo, fin sù in posti dove chi ha voluto lasciarle si è dovuto arrampicare non poco. Madonnine, Rosari, immaginette sacre, ex-voto… Ma c’è dell’altro.

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In basso, incorniciato da quello che potrebbe ricordare l’ingresso di una grotta che oggi non esiste più, un leggio; un leggio con uno spartito e su questo spartito le note di una musica che chiunque, capace di suonare uno strumento e giunto qui, potrebbe suonare. E’ questa una delle installazioni dell’artista Giuliana Cunéaz. Qui c’è la Fata, la fata delle rocce e delle acque scroscianti… la fata di Ozein!

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E quella musica è la sua voce, il suo sospiro, o meglio, questa musica messa insieme alle altre 24 sparse in luoghi particolari della Valle d’Aosta, va a comporre “Il Silenzio delle fate”.

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Creature impalpabili, bellissime e terribili, amabili e vendicative, volubili e benevole… queste sono le fate, nate dalla leggenda, create dalla mente e dalla fantasia degli uomini. Ma non create così, a tempo perso, per raccontare storie ai bambini o ai creduloni… no! Tutt’altro! Le Fate delle leggende sono l’unico modo che gli uomini nei secoli passati hanno avuto per cercare di dare forma a qualcosa che loro sentivano (non tutti, chiaramente, solo quelli dotati di spiccata sensibilità) in certi posti, oppure di delineare un ricordo lontano legate a presenze, ad ancestrali sacralità, ad energie positive. E spesso le Fate si nascondono in luoghi dove anche l’archeologia segnala antichi insediamenti o comunque arcaiche presenze umane.

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Qui a Ozein non saprei dirvi con esattezza quale ne sia la ragione, ma vi posso assicurare che questa particolare parete rocciosa con queste decine di cavità, alcune delle quali decisamente grandi, fa pensare senza troppa fatica alle grotte preistoriche dove gli uomini nostri progenitori trovavano riparo. In alcune di queste grotte, però, ci si spingeva fino in fondo strisciando in cunicoli labirintici ed oscuri, per invocare le forze benigne di madre Terra. grotte come ventri, cunicoli come uteri; una preghiera che era come un risalire l grembo primigenio, al sacro femmineo, al principio della Vita. E non è un caso che la maggior parte dei santuari mariani sia nato in luoghi caratterizzati proprio da antiche grotte, o rocce, e dalla presenza indispensabile dell’acqua. Maria ha dato un volto cristiano cattolico a forme di devozione più antiche, difficili altrimenti da spiegare ma impossibili da cancellare. Un sincretismo obbligato. Non si sarebbe altrimenti potuto privare gli uomini di consuetudini dell’anima tanto radicate. Vi sarebbero comunque tornati. E’ la Natura stessa il primo tempio e le sue forze imperscrutabili ne furono i primi dei.

Oggi qui non ci sono grotte vere e proprie, ma chissà… può darsi che queste cavità ne siano il fantasma; può darsi che millenni or sono queste cavità fossero davvero delle grotte, poi andate distrutte dallo scorrere dei secoli e dall’infuriare delle intemperie… anche, se non soprattutto, dall’infuriare dell’uomo con le sue strade e le sue infrastrutture. Ma c’è dell’altro.

C’è il silenzio, rotto solo dalla voce dell’acqua e del vento. Profumato dai vapori umidi che salgono dall’erba e sprigionano dalle rocce. Acqua e roccia. Tracce di una sacralità che va oltre ogni logica e ogni tentativo di spiegazione. Tracce di una Fata. La Fata di Ozein.

 

Stella

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